L’anniversario è passato decisamente in sordina: sono trascorsi vent’anni dalla firma del trattato di Maastricht. Il 7 febbraio 1992 i premier e i capi di Stato, in rappresentanza dei dodici Paesi allora membri della Cee, firmarono, nell’amena cittadina olandese, l’accordo che dava il via libera all’unione economico-monetaria. Si’, i parametri di Maastricht, da rispettare per restare all’interno della «famiglia». O per accedervi. Per l’Italia c’era Giulio Andreotti, Presidente del Consiglio. Per la Francia, Mitterrand. Una vita fa.
Quei parametri (sono quattro, ma il criterio sulla finanza pubblica consiste praticamente in due obblighi: quota massima del 3% del deficit pubblico annuo sul Pil, il Prodotto interno lordo, e il 60% per il debito pubblico, sempre rispetto al Pil) sono ancora validi. Almeno, in teoria. L’Huffington Post francese, di recente creazione, in tandem con Le Monde, è andato a spulciare le statistiche relative agli attuali 27 Stati della Ue. Per vedere a distanza di 20 anni chi rispetta Maastricht e chi no. Ebbene, solo tre sono in regola… Non c’è neppure la Germania fra gli eletti (il deficit pubblico 2011 a quota 4,8% e il debito all’85%). Dei dodici Paesi, i primi firmatari, solo la Danimarca rispetta ora Maastricht, assieme alla Finlandia e alla Svezia (che, comunque, non ha aderito all’euro). L’Italia è ok soltanto per il criterio che proibisce la svalutazione della sua moneta nazionale (facile, è nella zona euro…) e, a sorpresa, per i tassi d’interesse a lungo termine dei titoli di Stato (l’Irlanda porta talmente su la media da non oltrepassare che diventa facile essere virtuosi).
Mi ricordo molto bene quel 7 febbraio 1992. Lavoravo già come giornalista, a Bruxelles, seguendo l’attualità europea. Le polemiche su Maastricht non mancavano. Ma mi chiedo come si potesse pensare allora al realismo di quegli obiettivi. Giustificarlo. In realtà ci si consolava con questo spirito: facciamo gli ambiziosi, cosi’ chi zoppica (l’Italia, già allora) seguirà. La mentalità della frusta sui più deboli. Dell’andare avanti, comunque. Alla Merkel, insomma. Il nuovo patto di bilancio voluto oggi dalla rigida cancelliera non significa altro che riproporre sotto mentite spoglie quanto contenuto già nel trattato di Maastricht, d’altra parte sempre applicato…Con regole e obblighi ancora una volta poco, davvero poco realistici.
Riparliamone fra vent’anni.