Cultura

Pelù compie 50 anni
“Non sono un santo e me ne vanto”

Intervista al cantante dei Litfiba:" Chi me lo fa fare di buttarmi sul pubblico e spaccarmi una costola come un anno fa a Berlino? Una tournèe intera imbottita di antidolorifici. Sono un cretino, le mie figlie me lo ripetono, ma che posso fare a parte il bischero? Ho la sindrome di Peter Pan, anzi Peter Punk: non svegliatemi"

di Andrea Scanzi

Domani Piero Pelù compie 50 anni. Tre giorni dopo i 60 di Vasco. “Ne fanno 50 anche Axl Rose, Bon Jovi e Anthony Kiedis. Meglio il Club dei 50 che dei 27, almeno siamo vivi”. Modi garbati, pantaloni di pelle. Studi Parsifal di Sesto Fiorentino, la band prova il tour. Esordio il 2 marzo a Firenze. Un disco nuovo (Grande Nazione), a marzo la biografia di Federico Guglielmi. Ogni tanto compare Ghigo Renzulli. “Una gran cazzata, la separazione. Pensai di smettere. Nel ’98 ci furono conflitti con il manager Alberto Pirelli. Il successo aveva gonfiato il nostro ego. Fino al 2004 nessun contatto. Poi mi mandò un sms di auguri. E ora la reunion”.
Cos’è il rock?
Libertà, rabbia positiva, ingenua ricerca utopica di verità e ironia. Il rock deve vedere il bicchiere mezzo vuoto: avere sete. E pochi compromessi.
Lei li accetta.
C’è chi vive nel Mugello da eremiti. Punkabbestia veri. Massimo rispetto, ma il rock è esplosione. Non implosione.
A 50 anni non teme di apparire tamarro?
Sul palco entro in un universo parallelo. Chi me lo fa fare di buttarmi sul pubblico e spaccarmi una costola come un anno fa a Berlino? Una tournèe intera imbottita di antidolorifici. Sono un cretino, le mie figlie me lo ripetono, ma che posso fare a parte il bischero? Ho la sindrome di Peter Pan, anzi Peter Punk: non svegliatemi.
E la gestualità?
Sono ipercinetico come mio padre, che a 85 anni e un bypass fa 4 chilometri al giorno. Esagero, forse anche nel cantato. La misura non è la mia cifra.
Vasco ha compiuto 60 anni, Liga continua a vendere.
Luciano iperrazionale, quell’altro più artistoide spericolato. Rispetto, ma non li sento vicini. Tutto quello che è calibrato a tavolino per essere nazionalpopolare mi interessa poco. Vengo dalle cantine, dalle ubriacature, dagli amici persi. Meglio la rabbia dei balconi fioriti. Se miri al nazionalpopolare, una Lady Gaga ti farà sempre il culo.
Anche lei lo è stato.
In ‘Infinito’ (’99). Arrangiamenti imbarazzanti, remi in barca. I discografici volevano replicare ‘Regina di cuori’, scritta per la donna che amavo. Fu il giro di boa commerciale.
La carriera solista?
In Sony mi dettero libertà. Merito di Rudy Zerby. Ora purtroppo fa quelle cacate in tv. Gli mando spesso messaggi: ‘La smetti di fare il cretino con la De Filippi?’.
E la tivù?
Con Fazio e Beldì. E poi Victoria Cabello: mosca bianca da conservare. La Ventura è brava, ma il suo era il salotto della sciura.
I Litfiba si sono fermati a 17 Re?
No, ma è il nostro capolavoro. Lo scrissi a metà tra un amore finito e uno nascente. Quando soffri sei più creativo, ce lo insegnano i vecchi nonni del blues.
Perché ama Steinbeck?
Me lo ha inculcato mia madre. Mi critica ancora per come mi trucco o per le donne che frequento. Se ho scritto molte canzoni incazzate è anche merito suo.
Enzo Jannacci ed Edoardo Bennato.
Del secondo ho amato il sarcasmo e l’ironia. Jannacci è un genio puro, come Gaber. Cantavo ‘Vengo anch’io’ a 6 anni. Vivevo nella papalina Ancona. Lì mi imbattei nei capelloni.
Una folgorazione.
A 5 anni e mezzo mi portarono a Portonovo d’estate. Mi rompevo i coglioni. Feci 3 chilometri di salita sotto il sole e aspettai i miei genitori. Non arrivavano. Piansi. Nessuno si fermò, tranne una 500 piena di capelloni. Lì ho capito che quelli strani sono molto più sensibili dei ‘normali’.
“Scrivo per esprimere un’inquietudine”.
Inquieto, insonne, faccio incubi. E amo l’amore: non so fermarmi. Ho tre figlie da due compagne diverse. Sono un padre anarcoide che prova a dare regole. Odio Facebook, ma in casa non conto nulla. Tutte donne. Quando sarò rincoglionito, speriamo almeno che mi accudiscano.
Com’è stato intervistare Licio Gelli?
Era il ’95, Arezzo. Dico ad Alex Majoli, grande fotografo: “Dai, intervistiamo Gelli”. Arriviamo a Villa Wanda, coi vasi di limoni pieni d’oro. Suoniamo. Ci fa attendere 10 minuti e poi apre. Gli chiesi di Andreotti e Berlusconi. Di Piazza Fontana no, avevo paura. Una situazione massonica, patafisica. In penombra. Un uomo con mille maschere.
Politicamente crede a qualcuno?
Del berlusconismo non ci libereremo mai, come del fascismo. Nulla è più antipolitico dei nostri politici. Il Pdl, ma anche il Pd. Ho votato Di Pietro, domani non so. La mia utopia è avere tecnici veri, non come questi che colpiscono i pensionati e sfottono i giovani.
Lei è fiorentino, come Renzi.
Un rottamatore da rottamare. Ha messo una pietra tombale sulla cultura a Firenze. E’ arrivato, giovane e pimpante, ha ammazzato tutto. Un berluschino che fa gite ad Arcore.
Ringo De Palma, batterista Litfiba, morì di droga nel ’90.
Ferita aperta. E tema delicato. A fine ’70 l’Italia era come gli Usa, quando la Cia invase le città di eroina per “calmare” i giovani. Al concerto di Lou Reed e Patty Smith scoprii troppi amici con l’ago nel braccio. Lo spirito punk mi ha salvato da remissività e autodistruzione. Le ho viste tutte e non sono ipocrita: qualche canna me la faccio. Non sono un santo. E me ne vanto.

Da Il Fatto Quotidiano del 9/2/2012

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