In natura qualunque animale, se genitore, difende con ferocia e coraggio, sino anche alla morte, il proprio cucciolo. Sia essa madre o padre, l’indomita difesa viene opposta a chi minacci un pericolo. L’istinto è quello della conservazione e dunque anche della salvaguardia della riproduzione, a baluardo del continuum magico e improcrastinabile della vita.
Mi ha sempre colpito questa struggente immagine della madre e/o del padre che moltiplicano le forze, rendendosi quasi invincibili, per contrastare la minaccia. Spesso vincendo, anche su esseri di gran lunga più forti.
Sappiamo bene quanto sia pericoloso imbattersi in una mamma cinghiale con i suoi piccoli. Provate ad avvicinarvi ad una cigna con i suoi frugoletti pelosi color cenere. Dagli animali dobbiamo imparare tanto. Vivremmo tutti molto meglio e il mondo sarebbe più integro e buono.
Non occorre scomodare l’etologia umana per comprendere come tale comportamento sia al pari replicato nell’uomo. La mamma e il papà si ergono d’istinto a scudi nel difendere il cucciolo.
Appunto, la mamma ed il papà. Se in natura capita forse raramente che una coppia si separi con reciproche rivendicazioni, nel genere umano ciò oramai avviene di regola. In tal caso la minaccia e il pericolo si possono annidare dentro la famiglia, oramai disgregata. Il seme velenoso si annida nella stessa pianta che ha dato la vita.
L’analisi di decine di contenziosi a me noti rivelancome sia quasi sempre la donna-mamma a ghermire il cucciolo contro l’uomo-padre, alle volte effettivamente per tutelarlo (si pensi a casi di violenza), assai più spesso per ferire, distruggere, minacciare l’uomo-padre, per vendicarsi per presunti o reali torti subiti.
C’è qualcosa di drammaticamente attuale in tutto ciò. Già nelle settimane passate ho affrontato il tema e il dibattito è stato acceso. Ciò conferma l’attualità ed esalta l’esasperazione conflittuale che trasmoda in una discussione dove si fronteggiano nemici. Gli stessi nemici che poi si scontrano nelle aule di giustizia. Nemici che poco tempo prima sono stati amanti, compagni, forse amici, complici, infine genitori. Dall’amore all’odio più bieco, più meschino, più truce. Un cortocircuito come la lava che irrompe nel mare.
Quando l’uomo è la minaccia, spesso brandisce la forza oppure il sostegno economico. Può essere minaccioso e turpe anche se si sottrae ai suoi doveri genitoriali, eclissandosi dalla crescita del figlio. I casi non mancano e son tutti gravi. Vanno puniti, sanzionati.
Raramente però l’uomo usa il cucciolo, brandendolo come un’ascia di guerra per colpire la madre, così cagionando danni irreparabili al figlio e alla madre. Egli ha una sorta di religioso rispetto per la madre (pur anche disprezzandola) e per il figlio. Raramente è subdolo, adoperando la violenza della manipolazione (giorno dopo giorno nella crescita del figlio, goccia dopo goccia come una stalattite appuntita) e della negazione della continuità del rapporto (febbri improvvise, telefoni guasti o staccati, cambi repentini di programma, menzogne costanti e interminabili).
La donna a volte dimentica di essere madre e può divenire spietata. Dinanzi a una donna-madre che ghermisce il cucciolo considerandolo un oggetto piegato ai propri scopi (vendetta, pecunia, egoismo, gelosia etc.) perché stupirsi allora se l’uomo diviene un indomito animale feroce pronto ad affrontare mille battaglie pur di stare col proprio amato cucciolo?
Uomini che vengono alienati, che vengono distrutti nella propria esistenza, oramai con la mente solo dedita allo studio di una strategia per contrastare una battaglia impari, inspiegabile, assurda, pregiudizievole per il minore. Battaglia impari perché in Italia la legge sull’affidamento condiviso è stata distorta, malleata, dissacrata. In pochissimi casi i giudici sanno compiutamente adoperarsi per realizzare un affidamento condiviso. Per fare ciò occorre ascoltare le parti, studiare bene le carte, comprendere chi mente e chi recita, trovare la soluzione adeguata. Sanzionare e punire.
Quasi sempre il minore viene collocato dalla madre anche quando quest’ultima si appalesi come indegna di essere madre. Perché? Quasi sempre il padre viene saccheggiato economicamente e deve cedere casa, parte delle proprie risorse verso la madre, alla quale non viene chiesto alcun rendiconto. La donna può autodisoccuparsi, lamentarsi, calunniare, diffamare, usare il figlio.
Occorre dunque un cambio di rotta da parte dei giudici, equiparando realmente i diritti e i doveri dell’uomo a quelli della donna. Nell’interesse precipuo del minore. Senza un padre adeguatamente tutelato non vi sarà mai un figlio tutelato. Avremo presto una società composta da adulti traumatizzati.
In questi mesi è un fiorire di libri scritti da padri devastati, i quali denunciano storie simili e commoventi. L’ultimo è Nei tuoi occhi di bambino di Tiberio Timperi. Libri scritti per rivendicare diritti. E per ricordare ai propri figli quanto amore hanno nel loro cuore.