La richiesta del pm al processo per la morte di Veronica Locatelli, precipitata nel 2008 da Forte Belvedere durante una manifestazione del Comune. Secondo l'accusa, le misure di sicurezza erano insufficienti, nonostante allarmi e segnalazioni. Due anni prima aveva perso la vita nello stesso modo un giovane romano in gita, Luca Raso
Quattro anni di reclusione per omicidio colposo per Leonardo Domenici, ex sindaco di Firenze e oggi deputato europeo del Pd, la stessa pena per Giuseppe Gherpelli, ex dirigente comunale, e per il perito Ulderigo Frusi; tre anni per una quarta imputata. Sono queste le richieste del pubblico ministero Concetta Gintoli al processo di primo grado in corso a Firenze per la morte di Veronica Locatelli, la trentasettenne caduta tra due bastioni del Forte Belvedere il 15 luglio del 2008 durante una serata promossa dall’assessorato alla cultura.
Veronica Locatelli era laureata in letteratura italiana e aveva fatto la ricercatrice presso l’Accademia della Crusca, e negli ultimi tempi si occupava di formazione linguistica all’Università di Firenze. Quella sera festeggiava il suo compleanno con Marco, il suo ragazzo, e altri amici. Prima di lei, il 3 settembre del 2006, con modalità analoghe e nello stesso punto, era morto Luca Raso, ventiduenne romano in gita a Firenze. Un precedente che fa capire come l’amministrazione comunale e gli organizzatori fossero quindi a conoscenza dei rischi che la struttura del Forte rappresentava per la sicurezza dei cittadini.
Ma come andarono le cose quella notte, poco dopo la mezzanotte? Perché Veronica cadde senza nemmeno accorgersene da un bastione del Forte? La pubblica accusa ha delineato un quadro inquietante. Ha giudicato “insufficienti” le azioni intraprese dal Comune e dalla società che gestiva degli eventi, la Cooperativa Archeologia, per rendere sicuro il grande spazio tra l’edificio centrale, la residenza del Granduca Ferdinando I, e i bastioni che si aprono sulla città: un susseguirsi di prati, camminamenti, selciati e terrapieni.
I responsabili della sicurezza hanno compiuto, secondo il pm Gintoli, “un’analisi errata del rischio”: la sera della tragedia la luce era poca, mancavano le indicazioni di emergenza, gli addetti alla sorveglianza erano presenti in numero non congruo rispetto al grande pubblico che era solito frequentare il Forte. Inoltre le aree ad alto rischio, quelle che davano sul vuoto, non erano state chiuse. Chiunque frequentò quell’arena estiva, per settimane e settimane, ha rischiato la vita. Il prato del terrapieno su cui stava camminando Veronica aveva la stessa altezza del parapetto. Inoltre era stata posizionata una transenna che sembrava consigliare di proseguire verso il vuoto. Davanti c’era della vegetazione che spuntava dal bastione e che lasciava credere che quello che si trova al di là del camminamento fosse un altro prato. Al buio, Veronica ha quindi messo un piede sul bordo del prato e il successivo sul parapetto. Il terzo passo è stato fatale e il baratro l’ha inghiottita.
Due anni prima anche Luca Raso aveva fatto l’ultimo passo della sua vita nella stessa direzione. E prima di loro erano morti decine di cani che correvano sul prato del Forte. Il Comune sapeva e ha corso il rischio, a partire dal sindaco Domenici, primo responsabile della salute dei cittadini. Agli atti c’è infatti una lettera protocollata dalla segreteria del sindaco scritta dal professor Giorgio Bonsanti, storico dei beni culturali ed ex presidente di Firenze Mostre, la società partecipata che per anni ha gestito gli eventi proprio al Forte Belvedere. Bonsanti, che tra l’altro è stato consigliere comunale per i Ds, lo stesso partito di Domenici, scrive il 5 settembre del 2006: “L’incidente del giovane morto al Forte… è un incidente annunciato”. Si dice “assolutamente convinto dell’esistenza di una reale, gravissima pericolosità per il pubblico”. Dichiara inoltre “non sufficienti a proteggerci dal rischio di una caduta” le misure prescritte “dalla commissione che ha dato l’agibilità” al Forte. Conclude la lettera quasi rassegnato: “Mi spiace ripetere, ma è la verità, che la morte del giovane avrebbe potuto essere evitata se qualcuno fosse stato in grado di capire, grazie ad una professionalità avvezza a valutare situazioni del genere, che esisteva una sola via sicura per evitare il rischio” e indica poi la soluzione, una protezione di filo spinato che per essere ancora più chiaro disegna in fondo alla lettera. Due anni dopo muore Veronica.
La Pm ha chiesto infine il proscioglimento per gli altri due imputati, Monica Zanchi e Daniele Gardenti. La sentenza è prevista entro marzo.
di Cristiano Lucchi