Il freddo affligge tutta Europa. Ma in Italia le preoccupazioni sono maggiori a causa della scarsa disponibilità di gas naturale. Per ragioni di politica interna, la Russia ha infatti ridotto le esportazioni. Un guaio per il nostro paese, cronicamente dipendente dall’estero per gli idrocarburi e che utilizza il gas per produrre i due terzi della propria energia elettrica. Torniamo così a parlare dei rigassificatori, spesso con troppa superficialità. Invece servirebbe una Conferenza nazionale sull’energia, per affrontare i diversi temi senza la pressione dell’emergenza.
di Alessandro Lanza*, Lavoce.info

Tutto iniziò la notte dell’Epifania con una tramontana glaciale che causò un inatteso quanto brusco calo della temperatura. A Venezia i canali si gelarono e i fiumi in Europa divennero strade su cui si poteva passeggiare. Seguirono sessanta giorni di freddo polare. In Europa si contarono oltre un milione di morti e i danni furono molto ingenti. L’inverno del 1709 – il più terribile degli ultimi cinquecento anni – proseguì ben oltre i primi sessanta terribili giorni. E tantissimi sono i frammenti, le memorie, i dipinti, gli scritti che ci ricordano quanto accadde.

La dipendenza dell’Italia

Oggi la situazione è radicalmente differente e questo non solo perché oggettivamente siamo lontani da quelle temperature e da quelle situazioni estreme, ma anche perché siamo complessivamente meglio organizzati e tecnologicamente più preparati.
Tuttavia, la situazione climatica creatasi comporta, in Europa e in Italia, momenti tragici e anche gravi preoccupazioni, come quelle relative alla scarsa disponibilità di gas naturale per il nostro paese. E l’Italia soffre potenzialmente più degli altri paesi europei a causa della maggiore dipendenza dall’estero di idrocarburi. Sul totale dei consumi primari europei il gas naturale conta per il 26 per cento; per l’Italia questo rapporto sale fino al 37 per cento. Nei settori di consumo finale, la dipendenza dal gas è di circa il 23 per cento in Europa e raggiunge il 30 per cento in Italia.
Non possiamo soffermarci sulle ragioni della maggiore dipendenza dell’Italia rispetto ad altri paesi. In sintesi, tralasciando il settore industriale, possiamo affermare che in Europa con il gas naturale ci si scalda e si cucina, mentre in Italia ci scaldiamo, cuciniamo e per di più produciamo i due terzi della nostra energia elettrica. Infatti, il 36 per cento del gas è consumato nel settore della generazione elettrica.

Se il gas produce elettricità

Ci sono due diversi aspetti che meritano la nostra attenzione. Innanzitutto le ragioni della crisi, e naturalmente le risposte che sono state prospettate.
Le ragioni sono presto dette e vanno ricercate in un’ondata anomala di freddo per le temperature raggiunte e la durata del fenomeno. Il freddo sta interessando tutta l’Europa ed evidentemente anche la Russia, paese dal quale dipendiamo per il 30 per cento nel nostro gas naturale importato.
Anche se può sembrare strano, la politica interna russa non è un elemento esterno. A poche settimane dalle elezioni, può aver giocato a vantaggio del candidato Putin – o meglio, Putin ha ritenuto che gli avrebbe giovato – una certa dose di sciovinismo energetico: sostenere che “prima delle esportazioni dobbiamo soddisfare la domanda interna” può essere uno slogan spendibile. Il risultato di questa politica è che l’Italia registra mancate importazioni dalla Russia per circa il 25 per cento.
Il risultato finale è un micidiale cocktail. Da una parte consumiamo di più per via delle avverse condizioni atmosferiche (circa il 40 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno passato); dall’altra, sempre per le stesse ragioni, la Russia non è disposta in questa fase ad aumentare le esportazioni e, al contrario, le riduce.  La risposta del governo segue diverse strade, coordinate da un tavolo di crisi presso il ministero dello Sviluppo economico.
Due i provvedimenti di pronto soccorso: si cerca di supplire alla riduzione di disponibilità di gas incrementando la produzione di energia elettrica attraverso centrali alimentate con prodotti petroliferi. Allo stesso tempo si agisce sulle utenze industriali “interrompibili”, ovvero quelle circa duemila imprese che hanno firmato un contratto in cui accettano, spuntando per questo un prezzo migliore, di vedere le proprie forniture interrotte o ridotte in caso di cali di offerta. Le due manovre insieme possono valere circa l’8-9 per cento dei consumi di gas naturale, ma si tratta di una larga stima. Oltre a questi provvedimenti, si sta cercando di incrementare, per quanto possibile, le importazioni da altri fornitori e in particolare da Algeria (nostro principale fornitore con il 37 per cento delle importazioni, sia via gasdotto che via Gnl) e dal ristabilito Greenstream dalla Libia (circa il 13 per cento).
Sembra inoltre che la Russia possa far ripartire i flussi verso l’Italia nel giro di qualche giorno.
Questo per quanto riguarda la cronaca. Naturalmente però nel paese di Machiavelli non potevano mancare le polemiche. Se guardiamo unicamente il gas naturale, la vera anomalia nazionale consiste nella quota assorbita da questa fonte per la produzione dell’energia elettrica. Ne deriva che una crisi di offerta come quella che stiamo vivendo ha effetti sia dal lato dei consumi delle famiglie e delle aziende, sia dal lato della produzione di energia elettrica.
Senza voler sollevare l’ennesimo vespaio, va ricordato che altri paesi hanno costruito la loro base per la produzione elettrica su fonti diverse, la cui principale caratteristica è quella di non essere importate: il nucleare (Francia) o il carbone (la Germania). In Francia, la produzione elettrica da nucleare supera i due terzi del totale. In Germania la produzione di energia elettrica da carbone vale circa la metà del totale. In Italia la produzione elettrica realizzata con il gas naturale equivale a circa il 51 per cento del totale.

La questione dei rigassificatori

In queste occasioni ritorna ciclicamente la questione dei rigassificatori. La crisi economica ha rallentato la spinta alla loro realizzazione da parte delle imprese interessate, ma per capire le difficoltà incontrate basti pensare che l’unico rigassificatore di una certa dimensione realizzato in questo paese negli ultimi anni, a Rovigo, è stato costruito off shore, poiché on shore i divieti incrociati o le autorizzazioni già concesse e annullate per un semplice cambio di amministrazione sono stati moneta comune per molte realtà industriali.
Va anche detto che il tema viene spesso affrontato con troppa facilità. È molto suggestivo pensare che esistano dei rigassificatori costruiti pensando di esser riforniti sul mercato spot. Naturalmente un rigassificatore può, in linea generale, accomodare uno o più carichi spot. Ma l’idea che si possa costruire un piano industriale serio senza avere alle spalle un contratto sicuro di liquefazione del gas naturale è pura invenzione. E c’è di più: anche se esistesse un rigassificatore disponibile, dovrebbe essere pronto a comprare gas a un prezzo che nei principali hub europei in questa settimana ha sfiorato la quotazione dei 16 dollari/Mbtu (valori al 7 febbraio) con un incremento che ha sfiorato il 100 pr cento in pochi giorni.
Non credo sia utile per nessuno utilizzare questa crisi – che speriamo passeggera – per sollevare strumentalmente argomentazioni spesso risibili. L’Italia avrebbe bisogno, quanto prima, di una Conferenza nazionale sull’energia, mille volte programmata e mille volte cancellata. I temi sul piatto sono tanti ed è nell’interesse di tutte le parti provare ad affrontarli senza la pressione di una emergenza.

*Alessandro Lanza ha conseguito il Phd in Economics presso l’University College of London. Attualmente è consulente per istituzioni e aziende sui temi dell’energia e il cambiamento climatico. E’ stato Amministratore Delegato di Eni Corporate University. In precedenza ha ricoperto il ruolo di Executive Director presso la Fondazione Eni Enrico Mattei e Chief Economist dell’Eni. Per quattro anni ha lavorato come Principal Administrator dell’International Energy Agency presso l’Ocse. E’ stato Autore principale (Lead Author) per il terzo e il quinto Assesment Report per conto dell’Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change).

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