Ce la farà anche questa volta Lucas Papademos? Riuscirà il tecnico diventato primo ministro della Grecia a far accettare l’ennesimo piano di tagli imposto dalla Germania e dai big della finanza mondiale? Per il 64enne economista ateniese, ex governatore della Banca centrale greca ed ex numero due della Bce, il compito è davvero difficile. Dopo diverse nottate passate a discutere sui dettagli di una legge che rischia di rivelarsi un boomerang per i partiti in vista delle prossime elezioni di aprile, tutto sembrava deciso. I leader di Pasok (centro sinistra), Nea Dimokratia (centro destra) e Laos (destra radicale) erano sul punto di annunciare ai propri elettori di aver approvato altri tagli. L’accordo è stato trovato, aveva fatto sapere Papademos mettendo il turbo ai mercati. Invece alla fine si è messo di traverso il più piccolo dei tre, il Laos, famoso più le battaglie anti immigrati (vedi il muro in costruzione al confine con la Turchia) che per i programmi di politica economica. L’Eurogruppo ha rimandato l’approvazione del prestito da 130 miliardi di euro e le borse hanno virato verso il basso.
Il tecnocrate cauto e suadente, come lo descrivono in Grecia, rischia dunque di non raggiungere l’obiettivo. La prima volta ce l’aveva fatta. Era il 7 dicembre 2011 quando il Parlamento greco approvò la finanziaria “lacrime e sangue” necessaria per ottenere la sesta tranche del primo prestito della Troika, quella da 8 miliardi di euro concessa in cambio di nuovi aumenti di imposte sulla casa, riduzioni dei salari e del numero di lavoratori dipendenti nel settore pubblico. Anche in quel caso sembrava tutto risolto, invece pochi giorni dopo la Troika tornò all’attacco con nuove richieste. Come quella di licenziare 150mila dipendenti pubblici. O di ridurre il salario minimo, oggi fermo a 751 euro lordi al mese. Papademos, da sempre sostenitore della limitazione del debito pubblico, ha detto sì. E nonostante l’opposizione del Laos, alla fine il piano potrebbe essere approvato. Il voto è in programma per domenica. La formazione di estrema destra può contare solo su 16 dei 252 deputati che sostengono il governo: una percentuale troppo risicata per essere determinante, anche se i colpi di scena sotto il Partenone da un paio d’anni sono all’ordine del giorno.
Il problema è se la vittoria di Papandreou, e quella di chi gliela chiedeva, si trasformerà anche nella vittoria del paese che governa. Perché di drastico piano di ridimensionamento della spesa pubblica per salvare Atene ce n’era già stata uno, esattamente un anno e nove mesi fa, quando a capo dell’esecutivo c’era il socialista Papandreou, poi costretto alla dimissioni per aver proposto un referendum popolare sulle misure richiesta dalla Troika. Anche lì si parlò di Grecia salva dal default. A fronte di 110 miliardi prestati dalla Troika, Atene si impegnò a ridurre salari e pensioni, licenziare migliaia di persone nel settore pubblico, aumentare le imposte e il costo dei servizi essenziali. Risultato? Il pil del 2011 in calo del 6% rispetto all’anno precedente. Il tasso ufficiale di disoccupazione arrivato a novembre al 20,9%, cioè un milione di persone senza lavoro. Il rapporto tra debito pubblico e pil giunto alla fine del terzo trimestre del 2011 al 159,1%, il più elevato dell’intera Unione europea, con un incremento di oltre 20 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2010.
Insomma la ricetta non ha funzionato, almeno finora: i tagli hanno ridotto i consumi, e così oltre alle privazioni a cui i cittadini ellenici sono stati costretti nemmeno le casse pubbliche ne hanno beneficiato, tant’è che il paese si è ritrovato di nuovo nella stessa situazione. Rischio default, deadline fissata il 20 marzo quando scadranno 14,4 miliardi di euro di titoli di stato. La strategia imposta da Washington e Francoforte non è cambiata. Papademos sembra convinto che sia la strada giusta. Questa volta il prestito dovrebbe essere da 130 miliardi di euro, ma anche qui in cambio si esige austerità. I maligni accusano il premier di avere delle responsabilità all’origine della tragedia greca. Ricordano che quando avvenne l’operazione di falsificazione dei conti dello stato realizzata da Goldman Sachs, era proprio lui a guidare la Banca centrale ellenica. Papademos non ha mai risposto a queste accuse. Ha continuato a lavorare per il suo obiettivo: evitare che Atene debba dichiarare ufficialmente fallimento. La Grecia deve essere “determinata e sistematica” nel suo sforzo altrimenti “la storia non la perdonerà”, aveva detto a dicembre dopo l’approvazione parlamentare della prima finanziaria. Ma se anche dopo questi sforzi la situazione del paese non si risolverà, la storia potrebbe mettere lui sul banco degli imputati.