L’incontro racconterà la figura del musicista e scrittore, e non sarà un concerto. Grazie al suo ultimo scritto Prove tecniche di resurrezione e a quanto detto dallo stesso Zamboni all’appuntamento del passato autunno bolognese, cerchiamo di darvi un’idea del perché non assistere a questo evento sia un delitto culturale.
Prove tecniche di resurrezione raccoglie i testi degli ultimi tre album da solista dell’ex CCCP, intervallandoli con altrettanti racconti in prosa. Il vissuto interiore del compositore si intreccia con i cambiamenti della società. Ma la raccolta è tutt’altro che un parlarsi addosso: “Ho voluto rendere il tutto più universale possibile, non mi interessava parlare del mio ombelico”. I popoli, secondo Zamboni, come gli individui vivono delle fasi; per lui i dieci anni che sono passati dallo scioglimento dei CSI sono stati una prova tecnica di resurrezione, “Ho brancolato, solo ora, grazie al progetto con la Baraldi, si sta aprendo un nuovo ciclo”. Le stesse prove tecniche sono toccate all’Europa dopo la seconda guerra mondiale, dopo l’abominio dello sterminio di massa. Quando viene raggiunto il grado zero, il punto di rottura supremo, è necessario saper attendere il momento della rinascita. Per rinascere “E’ necessario farsi Dio e tramite il verbo, la parola, generare nuove forme d’esistenza”. Se per Adorno “Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie” secondo Zamboni non solo è possibile ma necessario.
Zamboni spiega l’importanza della poesia nell’ultimo racconto in prosa della raccolta. Insieme alla figlia e ad altri settecento scolari si reca a Birkenau grazie al progetto Il treno della memoria. Birkenau è “Il luogo dello spiazzamento massimo. Il museo con le teche piene di ceneri e capelli, per quanto tremendo, rende Auschwitz più umano di Birkenau. Qui non c’è assolutamente nulla se non il frastuono del terrore passato nella mente”. Mentre cammina per il campo s’imbatte in quattro energumeni con bottiglia e bicchieri. Inizialmente li scambia per guardie, solo quando realizza che Birkenau non ha più nessuna guardia, capisce che sono naziskin in festa per la ricorrenza dello sterminio. “Avrei dovuto prevederlo. Ma in quel momento la loro presenza ha fatto irruzione con una forza tale che avrebbero potuto condurci come cagnolini ovunque avessero voluto. Per un istante loro quattro sono stati più forti di noi settecento”. La riflessione si sposta su di un piano storico: “Esistono momenti in cui la forza del male è più forte di ogni bene; quando è tempo del male è tempo del male”. La poesia è l’uscita del bene dal letargo in cui il male l’ha fatto piombare. Ed ecco allora che agli occhi di Zamboni quei settecento scolari divengono poesia vivente che risorge dopo l’ondata di male.
Chiediamo quindi a Zamboni se quando il male è in atto il bene non può far nient’altro che attendere, che temporeggiare. “Occorre affermare tutte le volte che il bene, per quanto possa essere battuto, risorgerà. Le armi vanno imbracciate solo se il male è insostenibile. Ma bisogna essere consci che questa decisione a sua volta genererà altro odio. Forse è meglio attendere e sorridere nella consapevolezza che il bene tornerà. Bisognerebbe essere come Etty Hillesum, che durante la prigionia nel lager continuava a pensare quanto la vita fosse bella. Lei dal Lager non è uscita, ma il bene è tornato. Alla fine ha vinto Etty”.
Nel libro si parla anche di Berlino e Mostar, città che sono dovute risorgere dopo aver toccato il loro punto zero. Le esperienze di viaggio e i tour sono stati fondamentali nel capire il difficile percorso riabilitativo, le prove tecniche. La rielaborazione delle impressioni raccolte duranti i viaggi è stato fondamentale per Zamboni: “L’esperienza senza rielaborazione non è granché”. “Ma la punta del compasso rimane sempre dove uno ha casa”, questo concetto è alla base di un altro racconto presente nel libro. “Io voglio conoscere meglio me, non gli altri. Così facendo credo di rendere un servizio migliore al mondo. Gli altri non sono esclusi, sono racchiusi dentro al cerchio”. É con questo spirito che Zamboni affronta il mondo, mettendo in discussione prima se stesso che gli altri. Il suo è un voler armonizzarsi col mondo, non un armonizzare il mondo col proprio Io.
Dietro queste profonde riflessioni non mancano riferimenti letterari. Kafka, Cage, Catullo, Levi Pasolini e Fortini sono riferimenti consci e inconsci. Divertente e chiarificatrice la metafora: “Facciamo come la conchiglia con la sabbia. Durante gli anni di scuola assorbiamo nozioni e letture che col passare degli anni diventano la nostra perla. Le citazioni le prendiamo da lì, molto spesso non ricordandoci della loro provenienza”. Richiami ad un nucleo antropologico ancestrale, in questo caso collettivo, Zamboni lo rileva anche in un altro ‘punto zero’ della storia contemporanea. L’immaginario che si è formato attorno al crollo delle due torri è simile a quello di un castigo divino, una vendetta divina che abbatte la torre di Babele.
Inutile sottolineare la profondità di pensiero di Zamboni. Inutile affermare sia una delle personalità più stimolanti del panorama musicale italiano. Utile invece aver riportato queste sue parole, perché non si verifichi quanto accaduto a Bologna. La serata inizia alle 22:30, ingresso 5 euro con tessera Arci.
di Matteo Poppi