Amo la Germania, per tanti suoi aspetti affascinanti, come la serietà del suo popolo, che ha prodotto grandi intellettuali, come Goethe, Marx, Kant, Hegel e tanti altri, e grandi leader politici, come Rosa Luxemburg, Ernst Taehlmann e Willy Brandt, e sono orgoglioso di poter affermare che il tedesco è la mia seconda lingua. Ci sono però, come per ogni popolo, anche aspetti inquietanti, impersonati oggi dalla frenesia neoliberista e neoimperialista della signora Merkel, che sta portando l’Europa verso la catastrofe con i suoi insopportabili diktat nei confronti del popolo greco e di altri, e ieri dal nazismo, sconfitto dall’alleanza fra i popoli del mondo, primo fra tutti quello sovietico che pagò un prezzo di decine di milioni di morti per liberarci dall’incubo hitleriano.
Quello con il nazismo è ovviamente un conto ancora aperto, anche perché, per dirla con un altro grande tedesco, Bertolt Brecht, è ancora fecondo il ventre che ha partorito quel mostro. Anche per questo motivo ho trovato estremamente deludente e sbagliata la sentenza resa recentemente dalla Corte internazionale di giustizia sulla controversia fra Italia e Germania relativa alle vittime di guerra. Ci sono poi anche motivi di carattere più squisitamente tecnico e giuridico. Vi risparmio ovviamente le più strette technicalities, che meritano altra sede più idonea.
Mi limiterò qui ad affermare che, dando del principio dell’immunità degli Stati una lettura estremamente tradizionalista ed eccessivamente estensiva, la Corte ha disatteso indebitamente le argomentazioni avanzate dall’Italia, elaborate anche dalla Corte di Cassazione nella sentenza sul caso Ferrini, un deportato italiano difeso dal mio amico e compagno di lotte pacifiste avvocato tedesco Joachim Lau,che insistevano da un lato sul fatto che gli atti lesivi erano stati compiuti dalle forze d’occupazione tedesca sul territorio italiano e dall’altro sull’estrema gravità di tali atti, che costituivano in modo innegabile e non negato dalla stessa Corte, dei veri e propri crimini di guerra e contro l’umanità.
Ne risulta indebolita quest’ultima nozione, la cui prevalenza sul feticcio della sovranità statale costituisce una delle principali acquisizioni del diritto internazionale contemporaneo, perlomeno a partire dal processo di Norimberga. Tutto questo mentre l’altro braccio giudiziario della comunità internazionale, la Corte penale internazionale, procede viceversa a una lettura molto più penetrante del rapporto tra giustizia e sovranità, ma lo fa in modo sbilanciato, prendendosela, come si è visto recentemente in riferimento al caso libico, solo con alcuni paria e sempre e solo quando conviene alle potenze occidentali.
Sarebbe stata ben più auspicabile, anche nell’interesse di un progresso più equo ed equilibrato del diritto internazionale, una lettura che, come sostenuto dal giudice ad hoc nominato dall’Italia, il professor Giorgio Gaja, approfondisse maggiormente da un lato i temi in discussione nei processi italiani la cui legittimità è stata contestata dalla Germania, e dall’altro, procedesse a più attenta disamina della portata del principio dell’immunità statale, la cui lettura deve essere restrittiva qualora essa venga a cozzare con altri principi superiori del diritto internazionale, come sono quelli cosiddetti di jus cogens, volti in questo caso a tutelare le popolazioni indifese dai crimini anzidetti affermando nei fatti la vigenza del diritto internazionale umanitario di fronte agli orrori delle guerre passate, presenti e, ahinoi, future.
Tenendo presente, ovviamente, che come affermò il procuratore capo statunitense di Norimberga, Robert Jackson, il più grande dei crimini è quello dello scatenamento della guerra, crimine per il quale, anche in relazione a fatti recenti, risulta del tutto nulla la necessaria reazione della comunità internazionale.
Sulla questione del risarcimento dei militari deportati, la Corte allude, in modo forse un tantino pilatesco, alla necessitù di negoziati fra Italia e Germania. Staremo a vedere. Bisogna ad ogni modo auspicare che, dati i tempi che corrono, i sacrosanti diritti di quelli che furono all’epoca le vittime del nazismo non vengano sacrificati in qualche modo sull’altare di più ampi negoziati su fondi salvastati, spread e amenità del genere…