In un video diffuso su alcuni siti jihadisti, il capo delle milizie somale annuncia la fusione con il movimento fondato da Bin Laden. In un messaggio indirizzato ad al Zawahiri, il leader annuncia: "Ci muoveremo assieme a te come fedeli soldati"
In realtà, per tutti gli esperti di intelligence, i legami tra il movimento somalo, che controlla ampie zone del centro sud del Paese, e la rete del terrore fondata da Osama bin Laden sono molto stretti da diverso tempo. Si sa per esempio che tra i miliziani somali ci sono anche combattenti provenienti dall’estero, come nella tradizione del movimento jihadista di ispirazione qaedista e la rete che fu di Bin Laden ha rifornito le milizie somale di armi ed esplosivi, oltre ad aver fornito anche istruttori militari.
Mercoledì gli Shabab hanno rivendicato un attentato in un caffè della capitale somala Mogadiscio, che ha ucciso 11 persone e ne ha ferite almeno 34.
Il controllo della Somalia è conteso agli Shabab dal contingente internazionale dell’Unione africana, formato da 10 mila soldati di Uganda, Burundi e Gibuti, schierati soprattutto a Mogadiscio, dove da qualche settimana si è trasferito anche il rappresentante dell’Onu. In altre zone del paese, invece, ci sono truppe etiopi, sia direttamente sia attraverso milizie locali appoggiate dal governo di Addis Abeba.
La notizia della “ufficializzazione” del legame tra Al Qaida e gli Shabab arriva in un momento molto delicato per la Somalia. Il paese, nei mesi scorsi, ha sofferto la più grave siccità degli ultimi 60 anni, con un numero di vittime ancora imprecisato. Pochi giorni fa, a Roma, c’è stato il primo ministro del governo nazionale di transizione Abdiweli Mohamed Ali, che ha incontrato il ministro degli esteri Giulio Terzi e quello della difesa Giampaolo Di Paola. I ministri hanno ribadito l’impegno dell’Italia a favore della Somalia, in particolare per i capitoli della lotta alla pirateria e al terrorismo – fenomeni “vicini”, ma tra cui non è stato ancora provato un legame diretto, nonostante gli sforzi investigativi anche delle autorità italiane. E mentre il governo di transizione con enormi fatiche cerca di arrivare a una soluzione, forse federale, per ricostruire un’amministrazione nel paese, privo di un governo dal 1991, la sconfitta degli Shabab diventa sempre di più – almeno nella rappresentazione corrente – “la” questione essenziale.
Di tutto questo si parlerà a Londra, il 23 febbraio in una conferenza internazionale organizzata dal governo britannico. Il tema principale è la lotta alla pirateria, che Londra sta assumendo come proprio impegno prioritario, ma che evidentemente non può essere sganciata dalla soluzione dei più gravi e profondi problemi della Somalia e di altri paesi della regione, a partire dall’Eritrea, il cui regime dittatoriale guidato dal presidente Isaias Afwerki sostiene, secondo l’Onu, gli Shabab.
Lo sforzo britannico è dimostrato anche dalla visita a Mogadiscio del ministro degli esteri William Hague che la scorsa settimana è stato nella capitale somala, dove un ministro degli esteri britannico non atterrava da 20 anni. Non è solo, quello britannico, un interesse “altruistico” ovviamente. Al largo della costa del Puntland, una regione semiautonoma nel centro della Somalia, sono iniziate le esplorazioni a caccia di petrolio, mentre secondo un rapporto diffuso la scorsa settimana dal think tank britannico Royal United Services Institute (Rusi), vicino all’intelligence di Sua Maestà, ci sono almeno 50 cittadini britannici in addestramento nei campi degli Shabab, con l’obiettivo di tornare a colpire nel Regno Unito.
La conferenza di Londra, inoltre, potrebbe essere l’occasione in cui l’Ue potrebbe annunciare l’estensione del mandato della missione antipirateria Atalanta, in corso lungo le coste del Corno d’Africa, per includere anche incursioni sulla terraferma, a caccia dei “covi” dei pirati. Da lì a colpire direttamente gli Shabab il passo potrebbe essere breve, nonostante i fantasmi che un intervento internazionale in Somalia ancora evoca.
di Joseph Zarlingo