Gli scienziati dell'Ufficio meteorologico britannico e dell'University of Reading ritengono che "a una probabile riduzione dell'attività del sole non si accompagnerà un rallentamento della crescita delle temperature globali causato dai gas serra"
In un recente studio in corso di pubblicazione sul Journal of Geophysical Research-Atmospheres, i climatologi britannici stimano che “a una probabile riduzione dell’attività solare, attesa per questo secolo, non si accompagnerà un rallentamento della crescita delle temperature globali causato dai gas serra”. Secondo la ricerca inglese, una riduzione delle violente tempeste solari – dall’intensità pari o superiore a quella che proprio nei giorni scorsi ha investito la Terra – porterebbe a una diminuzione delle temperature globali di appena 0,08 oC.
A far capire l’attività del sole sono le macchie solari. Regioni della fotosfera caratterizzate da una temperatura più bassa rispetto al resto della superficie della stella e spesso accompagnate da esplosioni di enormi bolle di gas, più potenti di un miliardo di bombe all’idrogeno, furono osservate per la prima volta da Galileo 400 anni fa. Caratterizzate da una periodicità di circa 11 anni, la loro assenza è stata spesso associata a un irrigidimento delle temperature sulla Terra. Sarebbe bastato che il genio pisano fosse vissuto alcuni decenni dopo, tra il 1645 e il 1715, e non avrebbe visto nulla. In quegli anni, infatti, la nostra stella attraversò un periodo di letargo, denominato “minimo di Maunder”. Una lunga quiete, accompagnata sul nostro Pianeta da un calo delle temperature globali, noto come piccola era glaciale. Gli scienziati del Met Office hanno analizzato un range di possibili proiezioni dell’attività solare nel corso del secolo, fino al 2100, applicandole a un modello climatico ben preciso scelto tra quelli esistenti. E il risultato è stato che, persino in presenza di una riduzione dell’attività del Sole fino ai livelli record del minimo di Maunder, il guadagno in termini di diminuzione della temperatura del Pianeta sarebbe solo di 0,13 oC. “Un effetto benefico trascurabile – evidenziano gli scienziati del Met Office – se confrontato con le stime di crescita delle temperature globali per effetto dei cosiddetti gas serra”.
La pubblicazione della ricerca cade negli stessi giorni in cui la Nasa, grazie alle rilevazioni del Goddard institute for Space studies di New York, inserisce il 2011 nella top ten degli anni più caldi da quando – era il 1880 – si registrano le temperature del Pianeta. L’anno appena trascorso, per l’esattezza, si colloca al nono posto con 0,12 oC di differenza rispetto al 2010, l’anno più caldo, e un aumento medio della temperatura superiore di 0,51 oC rispetto alla metà degli anni ’90. Un trend in crescita, secondo gli esperti della Nasa, che sottolineano come, se si esclude il 1998, “ben nove dei dieci anni più caldi si concentrino proprio a partire dal 2000”.
Dati per nulla rassicuranti, se analizzati in chiave nazionale. Secondo il “Rapporto Italia 2012” dell’Eurispes, il mancato adattamento ai cambiamenti climatici potrebbe costare al sistema economico italiano una perdita di Pil compresa tra lo 0,12 e lo 0,20 per cento nel 2050. Il rapporto Eurispes, citando dati del Cnr, sottolinea che “le temperature medie annuali in Italia sono cresciute negli ultimi due secoli di 1,7 oC ” e denuncia come “l’innalzamento della temperatura potrebbe costare, nel 2030, una diminuzione del turismo straniero sulle Alpi del 21,2 per cento”. Quanto al dissesto idrogeologico, invece, “si contano 13.000 aree a rischio elevato e molto elevato, pari a circa 29.000 kmq”. Un’analisi impietosa, che si conclude con un accorato appello ad “avviare un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici collegato alla strategia di mitigazione”.
A partire, per esempio, dal 2012, appena proclamato dalle Nazioni Unite “Anno internazionale dell’energia sostenibile”, per “promuovere, da un lato, un uso della risorsa più efficiente e accessibile a tutti e combattere, dall’altro, i cambiamenti climatici”.