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Università, dopo la bocciatura di Shangai <br> la Francia corre ai ripari: “Più investimenti”

Dopo essere stata declassata nella classifica cinese sull'eccellenza universitaria, Parigi ha stanziato un maxi-finanziamento: otto milioni di euro da dividere tra gli otto principali poli d'istruzione del Paese. Con l'obiettivo di tornare competitivi a livello internazionale

A Parigi lo chiamano lo Shanghai-choc. E’ la rabbia tutta francese di vedersi sotto-rappresentati nella classifica mondiale degli atenei stilata, sulla base di qualità accademica e ricerca, dall’Università Jiao Tang della metropoli cinese. Un’umiliazione alla quale la Francia ha reagito con un programma che prevede investimenti per 19 miliardi di euro. Saranno otto i poli universitari che beneficeranno maggiormente dei fondi per realizzare importanti investimenti.

E’ dal 2003 che viene stilata la classifica di Shanghai. Nonostante all’inizio sia stata snobbata dai francesi (e non solo da loro), nel corso degli anni si è imposta come riferimento mondiale per il mondo accademico. Gli atenei francesi non hanno mai brillato, neppure nella classifica del 2011, che, come al solito, è stata dominata dalle università statunitensi (Harvard la prima, Stanford al secondo posto, il Mit al terzo, Berkeley al quarto e cosi’ via) e da quelle britanniche (a partire da Cambridge, numero 5). L’anno scorso solo due atenei francesi si sono piazzati nei primi cento posti, Paris 11 (Parigi Sud, al 40° posto) e Paris 6 (Pierre et Marie Curie, al 41°). Quanto alle italiane, neanche l’ombra. L’Università di Pisa e La Sapienza di Roma sono le prime a comparire, fra la posizione 102 e 150.

A Parigi sono arrivati presto alla conclusione che l’assenza di grossi poli interdipliscinari penalizzava gli atenei francesi nella corsa per piazzarsi tra i migliori del mondo, oltre a limitare le loro oggettive possibilità di sviluppo. Non solo: i tagli ai fondi (anche per l’edilizia e le infrastrutture) avevano portato a un deterioramento evidente delle università, fatta eccezione per le “grandes écoles“, destinate, pero’, solo a un’élite di studenti accuratamente selezionata. Così nel 2007, subito dopo l’elezione di Sarkozy, è stata varata, in mezzo a mille polemiche e proteste, la legge sull’autonomia degli atenei. Ma il grande salto è arrivato nel 2009. Subito dopo la prima grande crisi finanziaria e di fronte ai suoi riflessi sull’economia reale, il Presidente decise di varare il “grand emprunt”, un vasto prestito obbligazionario per ridare slancio alla competitività del suo Paese. Si tratta di 35 miliardi di euro. Ma ben 19 sono stati destinati all’università e alla ricerca (compresi interventi sui campus più malmessi). E 7,7 in particolare sono a disposizione degli Idex, le “initiatives d’excellence”: veri e propri poli d’eccellenza universitaria, con i quali finalmente la Francia vuole figurare in alto nella classifica di Shanghai.

E’ stata necessaria una lunga selezione da parte di una giuria di esperti per scegliere gli otto Idex previsti. L’anno scorso già ne erano stati indicati tre, mentre gli altri cinque sono stati annunciati nei giorni scorsi. Nell’area di Parigi se ne concentreranno quattro fra cui la nuova Università Uspc (Sorbonne-Paris-Cité), che comprende anche la prestigiosa Sciences Po di Parigi. Alle porte della Capitale è già in costruzione il nuovo campus di Saclay, che si presenta come la nuova Silicon Valley francese. E che raggrupperà atenei come Paris XI, Polytechnique e Hec. “Nell’800 era spesso in seguito a sconfitte militari che un Paese investiva nell’educazione – ha sottolineato Philippe Aghion, docente di economia ad Harvard e membro della giuria Idex -. Oggi, invece, avviene con le sconfitte nelle classifiche internazionali: sono state le indicazioni provenienti da quella di Shanghai a produrre la nostra riforma universitaria”.

Gli investimenti si accompagnano a una riorganizzazione generale, destinata ad accorpare finalmente le prestigiose grandes écoles alle reiette (finora) università vere e proprie. Altro obiettivo: accrescere la pruridisciplinarietà sullo stesso campus, sul modello anglosassone. Non mancano ovviamente le polemiche: sul fatto che si creino strutture troppo grandi. E con i timori che si imponga un’Università a due velocità (gli Idex e gli altri). Senza considerare che il “grand emprunt” è stato criticato come “l’inizio della fine” per l’indebitamento pubblico francese, aggravando il deficit delle casse dello Stato. Da qui ai prossimi anni, pero’, si vedrà se gli investimenti (da realizzare nel giro di quattro anni) porteranno gli effetti sperati.