Scontri davanti al Parlamento greco 10/02/2012
Foto: LAPRESSE

La Grecia non cambia mai. Aveva ragione Jean-Claude Juncker, il presidente dell’Eurogruppo, a non fidarsi e a tenere congelati gli aiuti finanziari: l’accordo tra governo e partiti annunciato giovedì sera dal premier Lucas Papademos in realtà non c’è mai stato. Ieri il governo tecnico di Atene è andato in pezzi: si sono dimessi il ministro dei Trasporti Makis Voridis e il viceministro della Marina, Adonis Georgiadis, entrambi del partito di destra Laos che contesta le condizioni sempre più dure imposte dall’Europa, risparmi di spesa pubblica per 325 milioni di euro, con tagli agli stipendi degli statali e privatizzazioni. Lascia anche Asterios Rontoulis, vice-ministro dell’Agricoltura, sempre del Laos. Ma si è dimessa anche il viceministro degli Esteri, la socialista Marilisa Xenogiannakopoulou, sempre per contestare gli impegni presi da Papademos con la troika (Bce, Ue, Fmi). “I ministri contrari al piano lascino il governo”, ha detto ieri sera esplicitamente Papademos.

La coesione sociale non è maggiore di quella politica: nel primo di due giorni di sciopero generale si sono riviste scene ormai abituali negli ultimi due anni di storia greca. Assedio al Parlamento, molotov, incappuccia-ti con le mazze e scontri con la polizia, manganelli e gas lacrimogeni. Ormai non fanno praticamente più notizia, ma in queste ore convulse contribuiscono a dare l’immagine di un Paese incontrollabile e senza speranze di ripresa. A un primo sguardo lo scambio sembra vantaggioso, 300 milioni di sacrifici in cambio di prestiti agevolati per 130 miliardi di euro. “Non possiamo consentire alla Grecia di finire in bancarotta. La nostra priorità e fare ciò che è necessario per approvare il nuovo programma economico e andare avanti con l’intesa per gli aiuti”, dice il premier Lucas Papademos. Ma i greci hanno imparato a non fidarsi, sanno che i tagli agli stipendi e allo Stato sociale andranno a beneficio soltanto dei creditori internazionali, in particolare le banche. Soltanto nelle ultime due settimane, dal lato della Germania, sono arrivate due proposte tutt’altro che rassicuranti: sottoporre tutte le decisioni di bilancio a Bruxelles, cedendo ogni sovranità di politica economica. Oppure costruire un fondo in cui confluiscono tutti i risparmi di spesa cosicché vengano usati per pagare gli interessi del debito già in circolazione. Quest’ultima opzione è ancora sul tavolo.

Il fallimento incontrollato di Atene avrebbe “conseguenze incalcolabili” dice adesso perfino il cancelliere tedesco Angela Merkel, principale responsabile della degenerazione della crisi greca. Il 20 marzo si avvicina, quando Atene dovrebbe rifinanziare quasi 15 miliardi di euro in scadenza. Somme basse a livello assoluto, ma insostenibili per un piccolo Paese come la Grecia che, senza l’arrivo del prestito europeo da 130 miliardi, non avrà alternative al default. Molto dipende anche dalle trattative tra governo e banche creditrici, rappresentate dall’Institute of international finance: se accetteranno perdite fino all’ 80 per cento delle somme prestate forse, e solo forse, il rischio crac si allontanerà. Le Borse hanno ceduto all’ottimismo soltanto per un giorno, più per speculazione che per convinzione. Ieri sono tornate alla realtà. Milano è stata la peggiore d’Europa, -1, 75 per cento, e lo spread dopo giorni di quiete ha iniziato a risalire, un balzo di quasi il 7 per cento in un giorno, arrivando a quota 370 punti. Si apre una settimana ancora più critica del solito: mercoledì si riunisce l’Eurogruppo, il coordinamento dei ministri dell’euro. Se il governo Papademos non avrà avviato il nuovo piano di lacrime e sangue, i soldi europei non arriveranno. E cosa succederà il giorno dopo sulle Borse nessuno, al momento, ha voglia di immaginarlo.

da Il Fatto Quotidiano, 11 febbraio 2012

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