“Prima cercavo di vendere ma inutilmente, poi un giorno ho deciso di allontanarmi dall’attività tradizionale in perdita e mi sono focalizzato su un nuovo mercato”, mi ha raccontato Sergio Atzori. Nasce così Professional Cooking, che oggi riceve quattromila ordini e fattura 200mila euro all’anno: da Olbia le vendite raggiungono ogni parte del mondo, compresi i vicini di casa. “La sorpresa più grande è stata scoprire che uno dei miei clienti abitava un portone dopo il mio”, mi ha raccontato.
Nuove imprese rinascono grazie alla rete. E’ vero, per molti la crisi ha il sopravvento, però ci sono anche tanti imprenditori e lavoratori che hanno scommesso sulle nuove tecnologie. E con successo. Lo sa bene la famiglia Carbonelli, che era in procinto di chiudere l’azienda di famiglia, una torrefazione nella provincia napoletana. Oggi il 70% del fatturato lo fanno sul web con l’attività di e-commerce. O ancora lo sa bene Luigi Bocci, titolare di un calzaturificio perugino con dodici dipendenti, che ha chiuso il 2011 con due milioni di euro grazie alla rete.
Mosche bianche, è vero. I problemi del mondo del lavoro sono altri, certamente. Però alcuni numeri non vanno trascurati. Eurisko ha stimato che lo scorso anno le aziende attive online hanno aumentato i ricavi dell’1,2%, contro il -4,5% registrato dalle aziende che non hanno un posizionamento sul web. Alcune settimane fa su L’Espresso Roberto Liscia di Netcomm ha dichiarato: “Stimiamo che le piccole e medie imprese venderanno online per 1,5 miliardi di euro, contro i 900 milioni di tre anni fa”.
Non è solo l’ottimismo della rete. E’ forse qualcosa di più. Un nuovo modo di lavorare, sicuramente non alternativo ma integrabile, che va valutato in questa congiuntura economica internazionale.