Al Tg La7 il direttore Enrico Mentana solleva con molesta insistenza dubbi sulla partecipazione di Roma alle Olimpiadi del 2020. E’ un fatto di inaudita gravità, e infatti si trova del tutto isolato tra folle plaudenti, Confindustria in prima fila, che premono su Monti perché firmi. Ad aggravare la sua posizione (appoggiata dall’Espresso), ci risulta che il traditore è anche romano!
I sostenitori della gloriosa e patriottica iniziativa hanno presentato dei conti da cui si deduce infallibilmente che l’operazione non costerà praticamente nulla alle nostre esangui casse pubbliche, così come è stato dimostrato anche per l’Expo 2015 di Milano e, prima, per le olimpiadi di Torino.
Vediamo come sono organizzati questi luminosi conti sulla convenienza pubblica della faccenda.
Tale convenienza d’altronde è evidente dai numeri: 8,2 miliardi è la spesa pubblica necessaria, 3,5 miliardi sono i ricavi diretti previsti (biglietti e sponsorizzazioni, valorizzazioni immobiliari, ricavi dagli impianti in tempi successivi ecc.). Altri 4,6 miliardi saranno i maggiori ricavi dell’erario, cioè dalle tasse generate da tutte le infinite attività economiche indotte dall’evento. Alla fine il costo pubblico netto sarà di soli 100 milioni di euro, un quisquilia.
Peccato che i costi pubblici previsti siano certi (anzi, in generale i consuntivi tendono ad essere molto più alti dei preventivi), e i ricavi assolutamente no. E il problema non è tanto che spesso arriva meno gente, o ci sono meno attività indotte, o gli impianti non servano più a nulla, e anzi generano alti costi di manutenzione, o di demolizione, come a Torino. Il problema è che nessuno fa dei conti ex-post, cioè i risultati economici veri non si sanno mai. A chi frega infatti fare i conti? L’evento è sempre e comunque dichiarato “un grande successo”, a quale dei soggetti promotori piacerebbe che emergesse che si è trattato di uno spreco di soldi pubblici?
Per stare sugli aspetti tecnici poi, si badi che qualsiasi spesa pubblica genera ritorni fiscali indotti. Ma non è legittimo considerarli come dei “benefici”, se non confrontandoli con i risultati che si otterrebbero spandendo quei soldi pubblici diversamente.
I precedenti notoriamente catastrofici di questi grandi eventi sono però numerosi, e ben documentati: si è già detto degli impianti deserti di Torino, ma anche Vancouver è andata male, come i Giochi del Commonwealth indiani, e le olimpiadi di Londra presentano già adesso una crescita dei costi che preoccupa molto gli inglesi. C’è poi il celebre caso di Atene: le spese pubbliche per le Olimpiadi sono giudicate uno dei fattori del dissesto finanziario dello stato greco.
Ma anche la Spagna (che anche lei ha qualche problema di buco di bilancio…) non ha scherzato: l’esposizione di Siviglia oggi è un deserto di rovine, e quella di Saragozza è stata un celebre flop.
Sono invece andate molto bene le olimpiadi di Atlanta, per le casse pubbliche: le hanno pagate quasi interamente i privati della Coca Cola. Ma gli stadi erano brutti, fatti coi “tubi Innocenti”. Mai e poi mai dal ricco stato italiano (e ancor meno dai costruttori interessati) sarebbe accettata una simile volgarità, che diamine!