Compra italiano, diceva qualcuno. Più facile a dirsi che a farsi, e quando ci si addentra nel settore dei trasporti le cose vanno anche peggio. Dalle auto del gruppo Fiat che prendono sempre la strada dell’est Europa o addirittura sono prodotte dall’altra parte dell’Atlantico, fino al settore delle imbarcazioni di lusso, ormai in mano ai cinesi. Non solo un problema di proprietà ovviamente, ma anche di ricadute lavorative su di un tessuto produttivo sempre più martoriato dalla crisi.

L’ultima mazzata al made in Italy emiliano arriva dalla notizia della messa in vendita di Ducati Motors, fiore all’occhiello di quella motor valley che andava dalla Dallara di Parma alle industrie motociclistiche di Rimini. Passando ovviamente per grandissimi marchi come Lamborghini, Ferrari e Maserati. Un settore produttivo che oltre a dare lavoro a migliaia di operai è stato in grado di estendere la propria offerta al turismo di settore, con decine di migliaia di italiani e stranieri che ogni anno arrivavano e arrivano in Emilia Romagna attirati dal fascino e della storia dei bolidi emiliani. Se la Ducati è in vendita, male vanno le cose anche per il settore del trasporto pubblico. Anzi malissimo. Oggi la conferma della Fiom. La BredaMenarini, ultima produttrice italiana di bus, starebbe per passare di mano ed essere acquistata dai turchi della Karsan. “Si stanno già comportando da padroni di casa, ormai è quasi certo che finirà così”. Non una buona notizia per il sindacato, visto che sempre più indizi portano sulle tracce della speculazione edilizia e della delocalizzazione all’estero.

Per Ducati l’annuncio choc è arrivato oggi. “Ducati è in vendita”. Prezzo di partenza attorno al miliardo di euro, se qualcuno volesse comprare in blocco le azioni di Andrea Bonomi, finanziere nonché presidente del consiglio di gestione della Banca Popolare di Milano che vuole disfarsi della propria partecipazione in Ducati. Pochi, spiega Bonomi al Financial Times che lo ha intervistato, sono coloro che potrebbero permettersi l’acquisto. Tra questi i tedeschi della Bmw o gli indiani della Mahindra. “Ducati è ora una società perfetta – ragiona Bonomi – ma per una ulteriore crescita serve il supporto di un partner industriale di rilevanza mondiale”. Con un basso livello di indebitamento e 40mila moto vendute ogni anno Ducati è un boccone prelibato per i grandi gruppi mondiali con la possibilità di fare acquisti. “Che fosse in vendita è un segreto di pulcinella – commenta Bruno Papignani della Fiom bolognese – Certo serviranno tutte le rassicurazioni del caso ma meglio un grande gruppo con un progetto industriale che una finanziaria oppure addirittura un fondo pensione”. Insomma, meglio i tedeschi.

Le cose vanno ancora meno bene in BredaMenarini, marchio storico bolognese che ha venduto in tutta Italia i propri autobus e che fra due mesi avrà esaurito tutte le proprie commesse. Sessanta giorni per tentare di salvare un fabbrica che ormai accumula 20 milioni di debiti ogni anno, e che l’azionista di riferimento, Finmeccanica, non sembra più intenzionata a ripianiare. A farsi avanti anche qui sono stati i grandi gruppi esteri. Prima i cinesi, poi i turchi della Karsan, azienda che dai minibus vuole espandersi nel settore dei grandi autobus.

“Per rilanciare il marchio servirebbero 50 milioni freschi e un progetto industriale”, spiega Papignani della Fiom. Il progetto industriale però Finmeccanica non ce l’ha, e secondo la Fiom non ha mai cercato nemmeno di elaborarlo. “Se i turchi comprassero temiamo la delocalizzazione della produzione e la chiusura dello stabilimento”, spiega il sindacalista delle tute blu bolognesi. Le conseguenze sarebbero oltre 300 persone senza lavoro e un paese, l’Italia, che di colpo si ritroverebbe a dover comprare all’estero i propri mezzi di trasporto pubblico. Dietro a tutto lo spettro della speculazione edilizia sui 155.000 mq occupati dallo stabilimento bolognese. Per questo la Fiom ha lanciato un appello al Governo, “perché si apra subito un tavolo per trovare i soldi per il rilancio dello stabilimento e per fare partire la riconversione della produzione verso mezzi ecologici”. Anche qui, i tempi sono strettissimi, perché se non si troverà la giusta sensibilità al Ministero dello sviluppo (a comandare in Finmeccanica resta sempre il Governo, col 30% delle azioni), la fine potrebbe arrivare in pochi mesi. Per il momento c’è già la cassa integrazione per 260 persone su un totale di 310. “Ma da fine marzo finiranno le commesse e poi cosa succederà?”. A chiederselo non sono solo gli operai della Breda, ma anche i parlamentari eletti sul territorio. Walter Vitali (Pd) lo dice chiaramente: “C’è il problema dell’occupazione ma anche della politica industriale italiana. Non possiamo permetterci di perdere anche questa sfida”.

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