Se lo dice Sarah, probabilmente non è vero. Ma danni rischia di farne lo stesso. L’ex reginetta di bellezza, ex governatrice dell’Alaska ed ex candidata vice-presidente 2008 Sarah Palin suggerisce ai repubblicani di continuare ad azzuffarsi per la scelta del candidato alla Casa Bianca 2012. Nonostante molti pensino che la lotta fratricida fra Mitt Romney e i suoi rivali faccia il gioco del presidente in carica Barack Obama, in cerca di un secondo mandato, la Palin, che creò la sorpresa in autunno, rinunciando alla corsa alla nomination, sostiene che “la competizione rafforza i repubblicani” e li condurrà alla vittoria nelle presidenziali del 6 novembre.
Sarà così, Sarah. Ma la competizione logora e fa pure spendere un sacco di soldi, che, poi, non ci saranno più quando si tratterà di battersi contro Obama. E, soprattutto, dà tempo agli elettori d’interrogarsi sui lati deboli di Mitt Romney, il battistrada, che è, poi, l’obiettivo del siluro della Palin: lei, icona ultra-conservatrice del Tea Party, non apprezza di sicuro questo moderato mormone più simile a Obama che al suo ideale d’alfiere repubblicano.
Intanto, Romney è tornato a vincere, senza convincere, nel Maine, uno stato che conta magari poco – 24 delegati alla convention, 4 Grandi Elettori -, lassù al confine con il Canada. E a votare, in questa stagione, con la neve alta dovunque, ci sono andate poche migliaia di repubblicani tenaci, abituati a perdere le presidenziali, perché tutto il New England ha una vocazione democratica.
Ma un gol è un gol, che sia un ‘eurogol’, un’autorete o un calcio di rigore magari regalato: così, vincendo, Romney dà una boccata d’ossigeno alla sua campagna e pareggia i conti con Rick Santorum, almeno a livello di Stati vinti: New Hampshire, Florida e Maine contro Iowa, Colorado e Minnesota, perché il successo dell’italo-americano nel Missouri è platonico (il test non assegna delegati alla convention: quello vero ci sarà fra qualche settimana). Newt Gingrich è fermo a una sola vittoria, nella South Carolina.
Nel Maine, Romney sfiora il 40% e batte di poco il libertario Ron Paul, quello che non molla mai e che è in corsa per il principio (per lui, un 36% che gli va di lusso).
I due candidati ultra-conservatori, qui, finiscono staccatissimi: Santorum, cattolico, sta al 18%; e Gingrich non arriva in doppia cifra. Ma l’ex speaker della Camera è già concentrato sul Super-Martedì del 6 marzo, quando si voterà in una decina di Stati, molti nel profondo Sud, dove l’ex speaker ha più possibilità di affermarsi. Fino ad allora, ci saranno solo le primarie nel Michigan, dove Romney la farà da padrone.
Circa 250 i delegati finora assegnati. Romney e Santorum sono avanti nella conta, ma nessuno dei due ne ha neppure un decimo dei 1441 necessari per ottenere la nomination alla convention di Tampa in estate.