Quando non fa parlare di sé per l’impeccabile caschetto o per una leadership di dubbia moralità che le è valso l’alter ego di Miranda Priestly in “Il diavolo veste Prada”, Anna Wintour riesce anche a mostrarsi interessata alla politica, come ha già dimostrato quattro anni fa con la prima campagna in favore di Barack Obama.
Non è certo un segreto, del resto, che la celeberrima direttrice di Vogue America sia una democratica accanita e che per sostenere Obama, farebbe tutto ciò che è in suo potere. E se di potere si parla, quello non può far altro che coinvolgere la moda, materia in cui la Wintour è sovrana indiscussa e non solo in quanto a gusto, ma quanto a controllo effettivo. Se è riuscita a rimescolare a suo piacimento le settimane della moda internazionali per far durare quella di Parigi dieci interminabili giorni, le sue fatiche varranno al Presidente qualche consistente entrata nel suo Victory Fund.
Con al seguito uno stuolo di stilisti del calibro di Marc Jacobs, Diane Von Furstenberg, Alexander Wang, Jason Wu, Vera Wang e Rachel Roy che hanno creato dei capi e degli accessori esclusivamente per l’occasione, la direttice ha messo su la campagna “Runway to Win” che ha avuto il suo clou nella serata di gala condotta dall’attrice Scarlett Johansson , il cui ricavato è stato devoluto a sostegno della campagna elettorale di Obama. Ma parliamo di cifre: 250 dollari per l’ingresso al cocktail, 2.500 per la cena, da 45 a 95 per i pezzi creati dagli stilisti, in vendita sul sito. Davvero niente male.
Se si sposta l’attenzione dal gesto di generosità mostrato dalla comunità della moda nei confronti della politica americana (un gran gesto certo), si può pensare piuttosto alla mancanza di interesse mostrato in tanti altri casi, visto che di grande potere esecutivo si sta parlando. Proprio nei giorni passati, a Copenhagen, si è parlato del progetto Nice (Nordic initiative clean and ethical), volto a sensibilizzare l’industria tessile e i grandi e piccoli marchi di tutto il mondo all’integrazione, nei processi produttivi, di tecniche che siano sostenibili per l’ambiente, oltre a rendere i prodotti visivamente accattivanti per gli acquirenti finali.
Tutta l’alacrità pro-social della Wintour dovrebbe concentrarsi nell’organizzazione di un galà in onore del summit che si terrà il 3 maggio nella capitale danese. Se già Gucci, Edun, Levi’s e giornali come il Financial Times hanno aderito all’iniziativa, un colosso mondiale come Vogue non potrà certo farsi scappare l’occasione di essere la prima rivista di moda eco-solidale. O non è abbastanza cool?
di Fabiana Fierotti