Mentre le consultazioni di coalizione incoronano Marco Doria in quota Sel, all'interno del Partito democratico divampa la polemica. E il segretario Bersani prova a cambiare lo statuto: "Sarebbe cosa buona e logica che selezionassimo la nostra candidatura per vie interne"
“Solo un’ammaccatura”: Pier Luigi Bersani sminuisce, nega, rimuove. E di fronte alla débacle del Pd a Genova arriva a definirsi “sereno”. Non senza aggiungere, dettando la linea al partito: “Ora lavoriamo ventre a terra per la vittoria di Marco Doria alle elezioni”. “Sereno? Bersani dice che è sereno? Dovrebbe essere incazzato nero. E poi, certo, dopo, siamo tutti per Doria”, commenta il sindaco di Bari, Michele Emiliano. A guardare i meri fatti, c’è poco da star sereni: le due candidate del Pd a Genova, Marta Vincenzi e Roberta Pinotti sono state sbaragliate da Marco Doria, i vertici del Pd ligure sono dimissionari, la Vincenzi si sfoga su Twitter con furia rara, la Pinotti medita di ritirarsi a vita privata. E nel frattempo, i vertici del Pd che fanno? Ragionano intorno a un ripensamento dello Statuto in modo che in caso di primarie di coalizione, il Pd corra con un candidato unico: “Sarebbe cosa buona e logica che il Pd selezionasse la sua candidatura per vie interne”, spiega Bersani. Che già nel primo pomeriggio di ieri, dopo una notte e una mattinata di silenzio, aveva dato la sua versione: “Le primarie hanno una loro logica. Questi sono gli esiti di avere più candidati del Pd”.
Che la Vincenzi e la Pinotti rischiassero di perdere, però, era un timore che aleggiava al Nazareno. “Alla fine, quelle due si sono messe a litigare”, dice qualcuno dello staff del segretario. Personalismi inevitabili? Non si poteva chiedere un passo indietro? “Se si sono volute presentare, non potevamo impedirglielo. Le regole sono queste”, spiega Chiara Geloni, direttore di Youdem. Sarà colpa delle regole, ma la sequenza agghiacciante delle consultazioni perse in luoghi importanti pone più di qualche problema. Era il febbraio 2009 quando Renzi vinse le primarie di Firenze, contro i candidati sostenuti dai big democratici. Nel 2010 Vendola impose le consultazioni per la candidatura alla guida della Puglia e le vinse contro lo sfidante democratico, Francesco Boccia. La vittoria di Giuliano Pisapia, candidato di Sel, a Milano provocò un terremoto nei vertici del partito locale. Il candidato di Sel, Zedda prevalse pure a Cagliari. A Napoli le consultazioni finirono annullate a colpi di denunce di brogli, e alle elezioni vinse De Magistris, presentato dall’Idv.
Se è per la tornata in corso, a Palermo, dopo lunghe trattative, il Pd ha scelto di appoggiare Rita Borsellino, che del Pd non ha neanche la tessera (mentre il democratico Davide Faraone è sostenuto dai renziani) e a Taranto Vendola sta imponendo la ricandidatura di Stefàno, sindaco uscente. Possibile che il Pd non riesca a individuare un candidato vincente? Scrive su Twitter, Paolo Gentiloni: “Tutta colpa di un Pd diviso tra due candidati, si dice ora. Ma a Milano, Napoli e Cagliari ne avevamo uno. E a Torino due (dove ha vinto Fassino, ndr). O no?”. E Renzi: “La colpa non va data alle primarie, ma al candidato del Pd”. Davide Zoggia, responsabile Enti Locali del partito, ricorda che nel 2011 il Pd ha vinto ad Alessandria, Asti, Como, Monza, Verona, Gorizia, Parma, Piacenza (dove in realtà il candidato di Bersani è risultato perdente), Pistoia. Ma, mentre ribadisce che va considerata l’ipotesi di non correre con più di un candidato del partito, ammette che quanto meno un errore di valutazione politica c’è stata: “O il sindaco uscente viene ricandidato e non si fanno le primarie, oppure le primarie non si fanno. Altrimenti si danno degli strani messaggi agli elettori”.
Ambiguità. “Siamo di fronte non a un campanello, ma a un’orchestra d’allarme”, spiega Gentiloni. Perché, evidentemente “quelli del Pd non sono considerati candidati credibili”. Che fare, dunque? Ogni tanto le parole congresso anticipato tornano ad entrare nel vocabolario democratico. Gentiloni si limita a dire che non sarebbe male fare una riunione. Rincara la dose Sergio Cofferati: “C’è il calo secco e rilevante dei votanti dovuto al quadro politico nazionale e poi c’è una secca sconfitta del Pd”. Cofferati ricorda come l’affluenza sia stata “appena dignitosa”. Parla del gioco di rivalità personali e correntizie che non si riescono a ricomporre. E poi collega anche il risultato genovese al disimpegnodella politica, che sta anche nella delega che i partiti hanno dato a Monti. Certo, se accanto alle sconfitte nelle consultazioni, si leggono i sondaggi che registrano contemporaneamente una grande fiducia in Monti e la sfiducia nei dirigenti democrats, sembra proprio che gli elettori del Pd siano utili a qualcun’altro. Salvatore Vassallo (che dello statuto del Pd è autore e le primarie le difende a spada tratta) fa un’analisi in termini di voti: “La forza elettorale del Pd, misurata alle regionali del 2010, è pari al 35 per cento dei votanti, quella di Sel al 2,8 per cento. Il rapporto tra l’elettorato del Pd e quello dei partiti alla sua sinistra è di 5 a 1. Il problema sta forse nella reputazione della sua attuale classe dirigente”. E intanto sulla rivista Qdr i giovani veltroniani chiedono le dimissioni di Zoggia.
da Il Fatto Quotidiano del 14 febbraio 2012