Se volessimo mettere in fila tutti i veleni sequestrati grazie all’introduzione del delitto di traffico illecito di rifiuti, ne verrebbe fuori un serpentone di 1.123.215 tir zeppi di 13 milioni e 100.000 tonnellate di scarti e spazzature varie lungo più di 7.000 chilometri. In pratica l’intera rete autostradale. Per un volume d’affari da brivido: 3,3 miliardi di euro nel solo 2010, 43 miliardi negli ultimi dieci anni.

Benvenuti in ‘Rifiuti spa’, ramificazioni in tutte le regioni e interessi all’estero. Profitti enormi, danni ambientali e sanitari altrettanto consistenti. E tra i ‘soci’, spuntano spesso i clan mafiosi e camorristici. Legambiente ha riassunto dieci anni di inchieste e sequestri in un dettagliato rapporto che si conclude con alcuni suggerimenti su come intensificare le attività investigative. Dieci anni, infatti, sono trascorsi dalla prima ordinanza di custodia cautelare per questo tipo di reato, il 13 febbraio 2002: operazione Greenland, procura della Repubblica di Spoleto. Da allora in Italia sono stati aperti 191 fascicoli per ‘traffico illecito di rifiuti’, che hanno condotto a 1199 ordinanze di custodia cautelare, chieste e ottenute da 85 diverse procure, che hanno lavorato con l’ausilio di tutte le forze di polizia giudiziaria. Ben 666 le aziende coinvolte e 3348 le persone denunciate. Solo nel 2010, sono state sequestrate oltre 2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi trattati illegalmente. E’ solo la punta dell’iceberg, relativa a una dozzina di inchieste sulle 30 aperte nel complessivo in quell’anno. Un anno importante, perché a partire dal 2010 la competenza ad indagare è passata alle Direzioni distrettuali antimafia (Dda), raddoppiando così i termini della prescrizione. “Non c’è dubbio – scrive Legambiente – che nel contrasto ai traffici illegali di rifiuti il nostro Paese ha rappresentato in questi dieci anni, sia dal punto di vista normativo che operativo, una punta avanzata in Europa e a livello internazionale”.

Il Paese dei Veleni

Hanno titoli evocativi e curiosi: Greenland, Murgia Violata, Econox, Salmone Indigesto. E poi: Fiori d’acciaio, Star Wars, Terra Mia, Banda Bassotti, Golden Rubbish, Grande Muraglia. Sono i nomi di alcune delle principali inchieste condotte nell’ultimo decennio in materia di rifiuti. Che hanno attraversato in maniera quasi uniforme l’intero stivale: 29 le procure del Nord che hanno aperto indagini sui traffici illeciti, 26 le procure del Centro, 30 quelle del Sud. Cifre che fanno dire agli ambientalisti del cigno verde che “il fenomeno si dipana senza soluzione di continuità su tutto il territorio nazionale e oltre confine, scalzando i tanti luoghi comuni sul fatto che interesserebbe solo il Sud o ancora peggio, la solita Campania”.

Ed allora saliamo nel ricco nord. Procura di Brescia, 30 novembre 2011. Scatta l’operazione ‘Fiori d’acciaio’: dieci arresti, tra cui quello del vice presidente del consiglio regionale della Lombardia. Si indaga su una tangente da 100.000 euro per aggirare o alleggerire i controlli. Le accuse spaziano sino alla corruzione, viene sequestrata la cava di Cappella Cantone (Cremona) destinata a una discarica di amianto, oltre a un impianto per il trattamento di rifiuti a Calcinate (Bergamo) e a due cantieri della Brebemi. Siti nei quali, secondo gli inquirenti, venivano smaltiti illecitamente rifiuti speciali.

Un paio di mesi dopo scendiamo al sud. Dda di Napoli, 30 gennaio 2012. I carabinieri di Castello di Cisterna notificano 14 arresti e 11 divieti di dimora per associazione a delinquere, realizzazione di discariche non autorizzate, gestione illecita di rifiuti, frode, truffa, intestazione fittizia di beni, con l’aggravante di aver favorito un clan camorristico.

Facciamo un breve passo indietro temporale e spostiamoci in Puglia. Taranto, 6 dicembre 2011. Operazione ‘Golden Plastic’. La Guardia di finanza scopre una organizzazione transazionale che riciclava e trafficava rifiuti plastici e vecchi copertoni in paesi del sud est asiatico: 54 arresti, 21 aziende sequestrate per un valore di oltre sei milioni di euro. Andiamo in Sicilia: il 4 dicembre i carabinieri del Noe e la Procura di Barcellona Pozzo di Goto scovano un traffico illegale di spazzatura tra l’isola e il Senegal, gestito da un’impresa collusa coi clan e già sequestrata dalla Dda di Messina nell’operazione ‘Gotha’.

Ed ancora: febbraio 2011 operazione ‘Eurot’ a Firenze, un traffico di pezze e stracci che partiva da Prato e giungeva ad Ercolano (Napoli); giugno 2011, Torino, indagine ‘Freon’: traffico di rifiuti elettrici e rottami auto che dalla Liguria al Piemonte finivano in Nigeria. Ricorrono spesso paesi stranieri dove ‘smistare’ gli scarti che qui è impossibile piazzare. Sono 22 le nazioni coinvolte negli ultimi dieci anni nei traffici illeciti di rifiuti made in italy: 10 in Europa, 5 in Asia, 7 in Africa.

Il Paese delle Ecomafie

Il Sud dunque non primeggia nel numero di inchieste sui rifiuti. Ma purtroppo continua a detenere il record dei coinvolgimenti delle organizzazioni criminali. Le indagini hanno spesso condotto dritti verso i clan siciliani, campani, calabresi e pugliesi. Ben 39 le cosche censite nei rapporti Ecomafia di Legambiente. Le più attive in materia, quelle del territorio casertano. Legambiente cita la “madre di tutte le inchieste in terra di Gomorra”, denonimata ‘Adelphi’, avviata in seguito alle dichiarazioni al pm Franco Roberti del pentito Nunzio Parrella, fratello del boss del rione Traiano di Napoli. Parrella disse che per la camorra la monnezza era diventata “oro”, e che a differenza della droga, in questo settore si rischiava molto di meno. Quelle parole furono la palla di neve che diventarono valanga in una miriade di nuove inchieste: “Avorio più 19”, “Re Mida” e “Terra Mia”, e poi “Madre Terra”, “Ultimo Atto Carosello”, “Chernobyl”, “Diry Pack”, “Nerone”, “Ecoboss”, “Carte False”, “Terra dei fuochi”, “Old Iron”, “Giudizio finale”. Fino all’emergere di nuovi pentiti. Come Gaetano Vassallo, uno degli accusatori di Nicola Cosentino. Vassallo, il ministro dei rifiuti del clan Bidognetti, spiegherà per filo e per segno il ruolo diretto dei clan. Fino all’emergere di una situazione drammatica, che Legambiente definisce ‘unica al mondo’: interi territori tra le province di Napoli e Caserta sono stati ‘sacrificati’ dalla camorra che li ha trasformati in un immondezzaio a cielo aperto degli scarti industriali di mezzo Paese. Incalcolabili i danni ambientali e sanitari, soprattutto nel triangolo della Terra dei Fuochi, nel giuglianese. Che fanno dire a Donato Ceglie, pm di alcune delle principali inchieste di ecomafia: “Qui si è verificata “una Chernobyl tutta italiana”.

Monnezza export

Le ecomafie viaggiano. E trasportano rifiuti in tutto il mondo. Di conseguenza aumentano le inchieste transazionali. Solo nel 2011 sono state 10 e hanno coinvolti 15 paesi di tre continenti, Europa, Africa e Asia, sulle 31 registrate negli ultimi dieci anni, con 156 ordinanze di custodia cautelare, 509 denunce, 124 aziende coinvolte.

Di ‘Golden Plastic’ in Puglia abbiamo già parlato. Un’altra inchiesta che ha fatto rumore è quella denominata ‘Partenope’, condotta dalla Procura di Napoli. Il 14 dicembre è culminata in una raffica di arresti per un giro di ferraglie trattate in spregio a ogni normativa e destinate ai paesi asiatici. Secondo la Gdf erano in ballo affari per 250 milioni di euro, e grazie a cartiere di fatture false sono state evase imposte per almeno 6 milioni.

Solo nel 2010 l’Agenzia delle Dogane ha sequestrato nei porti italiani 11.400 tonnellate di rifiuti plastici, ferrosi, elettronici (anche ricavati dalla raccolta differenziata) destinati ai paesi asiatici o all’India, dove vengono trattati senza precauzioni e senza regole, con enormi danni ambientali e sanitari. Paesi dove – sottolinea Legambiente – la carenza di materie prime si mescola con collaudati sistemi di corruzione ed è presente con forza la criminalità organizzata. Un mix micidiale, che rende facile il gioco delle imprese illegali italiane.

Le proposte di Legambiente

In Italia siamo all’avanguardia. Ma si può fare di più. Legambiente chiude il rapporto con qualche proposta per rendere più efficaci le inchieste sulle ‘monnezze connection’. Tra le quali spicca quella di consentire le intercettazioni anche in presenza di sufficienti indizi di reato, e non gravi come prevede la normativa attuale, prolungando da sei mesi a un anno i termini per le indagini preliminari. Secondo gli ambientalisti, infine, va sollecitata l’estensione di questo tipo di reato in tutti i Paesi dell’Ue, inserendolo nelle attività di organismi investigativi internazionali, come l’Europol, l’Interpol e l’Organizzazione Mondiale delle Dogane.

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