Non era mai accaduto prima: nella decisione del tribunale di sorveglianza salentino si parla di "lesioni della dignità umana, intesa anche come adeguatezza del regime penitenziario, soprattutto in ragione dell'insufficiente spazio minimo fruibile nella cella di detenzione"
E’ la prima volta che accade in Italia e il caso è destinato a fare scuola. Solo di fronte alla magistratura di sorveglianza salentina pendono centocinquanta ricorsi, alcuni già inoltrati alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Altri simili sono in attesa di giudizio a Padova e a Milano. E su questi potrebbe influire, eccome, il peso di queste prime pronunce. Per rendersi conto della loro portata storica basta considerare i numeri: in tutto il Paese, stando ai dati diffusi dalla Comunità di Sant’Egidio, sono oltre 67mila i detenuti in strutture che al massimo potrebbero accoglierne 42mila. La maglia nera del sovraffollamento spetta proprio alla Puglia. Ma per capire veramente l’intensità del terremoto che potrebbe travolgere il sistema carcerario nostrano, bisogna guardare a quello che accade poco più in là, in Gran Bretagna, dove il governo, solo nel 2010, è stato costretto a sborsare risarcimenti che hanno sforato il tetto dei 4milioni di euro, dovuti anche per le condizioni indegne della permanenza dietro le sbarre. Di sicuro, dev’essere questo uno dei motivi per cui l’Avvocatura dello Stato, per conto dell’amministrazione penitenziaria, ha impugnato l’ordinanza del magistrato Tarantino e il giudizio è tuttora pendente. Ma con 112 euro al giorno, spesi in media nel 2011 dallo Stato per ogni detenuto, va detto anche che pure il sovraffollamento è diventato un business.
Il sasso nello stagno, ad ogni modo, è stato lanciato. Il Tribunale di Lecce ha, infatti, sottolineato come la centralità della funzione rieducativa della pena “non riguardi com’è ovvio solo gli strumenti alternativi alla detenzione, ma anche la conduzione della detenzione stessa, che non può essere concepita se non in funzione della progressiva rieducazione del detenuto”. Insomma, se mancano le condizioni basilari per questo, la pena diventa un mero decorso del tempo “scandito da un’alba sempre uguale e senza fine”.
“Ciò che è di straordinaria rilevanza – sottolinea l’avvocato Alessandro Stomeo, che ha curato i ricorsi – è l’aver riconosciuto che il trattamento penitenziario, così come quello sanitario, è un obbligo che lo Stato ha nei confronti del cittadino. Pertanto, la mancanza di un trattamento che, almeno in astratto, possa essere fruito per risocializzarsi, comporta la lesione di un diritto proprio del detenuto, fonte anche di obbligo risarcitorio da parte dello Stato”.
L’indennizzo varia soprattutto in funzione del tempo trascorso in condizioni inadeguate e in proporzione alle condizioni di disagio, intese come ristrettezza degli spazi, mancanza di attività sportive, risocializzanti, ricreative, di studio e lavoro. E che la situazione a Borgo San Nicola sia esplosiva lo dicono i dati. Celle concepite per un solo carcerato ma da dividere in tre, con spazi vitali a testa grandi quanto quelli di una bara. Impossibilità di utilizzare le aree verdi e i campetti, perché mancano i passaggi di accesso protetti. Abuso di ansiolitici e depressivi da parte del 90 per cento della popolazione dietro le sbarre. Sovraffollamento del 120 per cento. E’ stato il rapporto “Visti da noi” del Centro Servizi Volontariato Salento a capovolgere la visione di quella che, al momento della sua inaugurazione, a metà anni ’90, era considerata una casa circondariale modello.
Anche l’ordinanza del giudice Tarantino mette nero su bianco il dramma del recluso A.S., che “è stato ristretto in un istituto sovraffollato occupato da 1.377 a fronte di una capienza di 660 detenuti ed una tollerabilità di 1.100, non ha fruito di alcuna attività trattamentale formulata secondo un programma individualizzato, non ha fruito di un vano igienico dotato di acqua calda, non ha fruito di spazi all’aperto dotati di protezione dagli agenti atmosferici, non ha fruito di un programma trattamentale che alternasse attività finalizzate alla rieducazione con attività all’aperto, ha trascorso 19 ore e mezzo in una cella utilizzando uno spazio vitale pari a 3,39 mq al lordo degli arredi, dormendo su di un letto a castello posto a 50 cm dal soffitto della stanza”.
“Il ricorso – sottolinea Stomeo – ha preso spunto dalla sentenza Sulejmanovic, con cui nel 2009 la Corte europea ha condannato l’Italia a indennizzare un detenuto bosniaco per il danno morale sofferto durante la sua permanenza, per due mesi e mezzo, in uno spazio minimo vitale di 2,70mq. In quel caso si era configurata una violazione dell’articolo 3 Cedu sul divieto di tortura, tanto che la pena è stata ritenuta umiliante e degradante”. Il Tribunale di Lecce non si è spinto fino a questo punto, ma ha avvisato: “Rispetto a quella situazione, la lesione cagionata all’odierno reclamante è di poco più contenuta sotto il punto di vista temporale e manifesta un’aggressione meno intensa al comune bene giuridico della dignità umana”. Come dire, siamo al limite.