Una delle auto danneggiate dall'esplosione di lunedì scorso a New Delhi

Tre attentati, a New Delhi, a Tbilisi e a Bangkok, che per il governo di Israele avrebbero un unico mandante: Teheran. Che a sua volta respinge le accuse al mittente e parla di strategia per scatenare un conflitto. “Le azioni terroristiche iraniane sono sotto gli occhi di tutti. Stanno mettendo a rischio la stabilità mondiale e la vita di diplomatici indifesi”, ha detto oggi il primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu ai deputati della Knesset, nel giorno in cui la Repubblica islamica ha annunciato l’installazione di nuove centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, tre volte più potenti di quelle esistenti, stando alle notizie ufficiali.

Niente tuttavia appare chiaro. Di certo al momento ci sono le tre esplosioni che ieri hanno colpito Bangkok ferendo cinque persone, tra cui l’attentatore, un cittadino iraniano arrestato assieme a un suo connazionale e la fuga in Malaysia di un terzo complice, fermato oggi. Il primo uomo, Saeid Morati, 28 anni, ha perso le gambe nell’attentato, mentre cercava di lanciare un ordigno contro un’auto delle polizia. Il secondo, Mohammad Hazaei, è stato invece fermato all’aeroporto di Suvarnabhumi prima di imbarcarsi su un volo per Kuala Lumpur. Entrambi sono stati incriminati, ma al momento, ha spiegato il ministro degli Esteri thailandese, non ci sono prove che leghino quanto accaduto al terrorismo internazionale e agli attacchi del giorno prima contro le ambasciate israeliane in Georgia e in India.

Lunedì una bomba nascosta sotto un minibus era esplosa davanti alla rappresentanza a New Delhi. La deflagrazione aveva fatto quattro feriti, tra cui la moglie di un diplomatico. Qualche ora prima, un altro ordigno posizionato sotto l’auto del console israeliano era invece stato ritrovato e disinnescato a Tbilisi. Più concitato il caso thailandese. La prima esplosione è avvenuta nell’appartamento dei sospettati, e Morati sarebbe corso in strada nel tentativo di prendere un taxi per fuggire. Poiché la vettura non si fermava, l’uomo ha lanciato una seconda granata ferendo il conducente. Scoperto dalla polizia ha tentato nuovamente la fuga e lanciato contro gli agenti l’ordigno che poi l’ha ferito.

Di fronte agli eventi thailandesi, il governo israeliano ha ripetuto ciò gli era sembrato evidente sin da lunedì: i diplomatici sono diventati bersaglio dell’Iran. I giornali più conservatori come il Jerusalem Post sono arrivati a chiedersi se le bombe siano o no da considerare atti di guerra.

Il governo thailandese, come già quello indiano, è invece cauto. Le dichiarazioni ufficiali sono simili: le indagini sono in corso e non sono emersi elementi che conducano a un determinato Paese a una organizzazione, un riferimento al movimento sciita libanese Hezbollah, su cui nelle prime ore dopo le esplosioni erano caduti i sospetti. Domenica cadeva infatti il quarto anniversario dell’uccisione di Imad Mughniyeh, capo militare del movimento sciita. E sempre la vendetta per gli omicidi di una serie di scienziati coinvolti nel programma nucleare iraniano è considerata un motivo plausibile per gli attacchi, se fosse provata la ‘pista’ iraniana.

Tuttavia, lo stesso sito Debka files, vicino ai servizi israeliani (e impegnato da tempo a soffiare sul fuoco della tensione con l’Iran), confuta, almeno per il momento, la tesi di una possibile connessione, “se non circostanziale”, tra i tre ordigni. A complicare il quadro ci sono infine le dichiarazioni contrastanti dei funzionari thailandesi. Per Wichian Podphosri, segretario generale del Consiglio per la sicurezza nazionale, le bombe di Bangkok sono legate “a tensioni internazionali”. Né tranquillizzano le dichiarazioni del capo della polizia secondo cui le bombe erano state confezionate per colpire gli stranieri. Già a gennaio infine le ambasciate statunitense e israeliana avevano diramato un’allerta dopo l’arresto in Thailandia di Atris Hussein, un cittadino libanese con passaporto svedese, sospettato di essere un militante di Hezbollah e di pianificare un attentato.

Inoltre, alcuni degli ordigni magnetici ritrovati nella capitale thailandese sarebbero simili a quelli usati in India e Georgia. Ma, nota l’agenzia Reuters, anche a quello costato la vita a uno scienziato iraniano lo scorso 11 gennaio. Un omicidio per cui Teheran ha puntato il dito contro i servizi israeliani e statunitensi e che, ha detto oggi il ministero degli Esteri iraniano, Ramin Mehmanparasm, vogliono coprire attribuendo alla Repubblica islamica la responsabilità degli attentati di questi ultimi giorni.

Intanto continuano arresti e fermi. La polizia malaysiana ha scovato il terzo iraniano fuggito da Bangkok. In India i fermati nell’abito delle indagini sono invece cinque, identificati attraverso i filmati delle telecamere a circuito chiuso posizionate davanti all’ambasciata e grazie alla motocicletta rossa usata per la fuga. Dai loro interrogatori si potrà capire, forse, se quella in corso è davvero una guerra, per ora solo di spie.

di Andrea Pira

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