Garantire la sopravvivenza della Grecia a breve termine per poi sbloccare gli aiuti con il contagocce dietro precise garanzie sull’effettiva implementazione delle politiche di riduzione della spesa. Potrebbe essere questa la strategia dell’Unione europea per affrontare la crisi ellenica tenendo conto della profonda spaccatura tra il fronte dei “possibilisti” – Italia e Francia soprattutto – e quello dei “rigoristi” guidato idealmente da Germania, Olanda e Finlandia. L’ipotesi, già nell’aria negli ultimi giorni, ha assunto oggi un carattere molto più nitido trovando importanti conferme. “Ci sono proposte per rinviare il pacchetto greco o per suddividerlo, in modo da evitare un default immediato senza impegnarsi completamente” ha dichiarato alla Reuters una fonte vicina all’Eurogruppo la cui riunione, inizialmente prevista per oggi, è stata di fatto rinviata a lunedì prossimo.
L’ipotesi, tuttora in discussione, dovrebbe essere più o meno la seguente: l’Europa verserebbe alla Grecia una tranche ridotta del finanziamento da 130 miliardi per permettere ad Atene di rimborsare i 14,5 miliardi di euro di obbligazioni in scadenza il prossimo 20 marzo. Ergo, niente default, almeno per ora, niente uscita dalla moneta unica e, di conseguenza, niente liquidazione per i Credit default swaps, l’ipotesi più temuta dalla banche americane che li hanno emessi a garanzie dalla solvibilità ellenica. Quanto al resto si tratterebbe di aspettare. “Diversi Paesi – prosegue la fonte della Reuters – starebbero facendo pressione per temporeggiare fino a quando la Grecia non assumerà un impegno concreto, cosa che potrebbe avvenire solo dopo le prossime elezioni”. Ovvero ad aprile.
Che per la Grecia tirasse una brutta aria lo si era capito fin da lunedì quando l’Europa aveva accolto con molta freddezza l’esito positivo del voto parlamentare sul piano di austerity, approvato domenica a larga maggioranza. La scarsa fiducia di molti esponenti di governo europei è nota da tempo, ma l’impressione è che Atene abbia fatto la sua parte. Il clamoroso autogol, in questo senso, lo avrebbe realizzato il leader conservatore Antonis Samaras, probabile futuro vincitore delle elezioni di aprile. Poco prima di approvare il pacchetto tagli, il numero uno di Nea Demokratia aveva infatti promesso pubblicamente di voler ridiscutere in seguito le politiche imposte al suo Paese. Un’affermazione che deve aver fatto saltare definitivamente i nervi a Berlino e non solo.
Il risultato è che la tensione è salita alle stelle. Oggi il Financial Times ha parlato di un sempre più consistente partito degli scettici, con Germania, Olanda e Finlandia in prima fila, favorevole a un’uscita della Grecia dall’eurozona. Il ministro delle finanze greco Angelos Venizelos ha confermato indirettamente rilasciando in questo senso una dichiarazione chiarissima: “’Bisogna dire la verità al popolo greco e cioè che molti Paesi dell’area euro non ci vogliono più”.
Tra questi non c’è certamente l’Italia. Parlando oggi pomeriggio al Parlamento europeo, il premier Mario Monti ha definito “forse eccessive” le misure imposte alla Grecia affermando che nel Continente “non vi sono né buoni né cattivi”. Un riferimento evidente a coloro che vorrebbero una soluzione drastica della crisi attraverso l’amputazione del ramo greco. Monti, che non ha mancato di rilanciare l’ipotesi degli stability bonds europei, ha ricordato per altro come siano state Francia e Germania, con la complicità dell’Italia, a rompere già nel 2003 quel Patto di Stabilità che avrebbe potuto garantire un futuro più sereno all’intera area. Insomma, pur mantenendosi in sostanziale equilibrio (“per molto tempo la Grecia è stato il perfetto catalogo della peggiore politica” ha comunque ricordato), Monti ha voluto rispondere senza indugio al fronte massimalista in seno alla Ue. Il dibattito resta dunque aperto. Nella speranza che l’incontro di lunedì possa risultare finalmente decisivo.