“Io sono colui che sono” diceva  il ghost writer di Celentano a Mosè sul Sinai.  E lui (Celentano, non il ghost writer) l’ha preso fin troppo in parola. E’ tutto e niente, è ovunque e in nessun posto, è finto ed è vero. A distanza di qualche ora dal sermone del Molleggiato a Sanremo, mi è rimasta addosso la sensazione del primo momento: non ci ho capito quasi nulla. Ho colto qualche parola, qualche nome (Don Gallo), qualche concetto (la sovranità popolare), qualche arrabbiatura (contro la Consulta che ha bocciato i referendum). Ho visto passare la Canalis. C’era Morandi che diceva come in un altro luogo (quale?) i piccoli di statura e i grandi saranno eguali. Ah, bene.

Pezzettini di un discorso patchwork dove il medium si è fuso col messaggio e il risultato è stato un messaggio non terapeutico e che sarebbe opportuno definire in altro modo, imposto a quei pochi neuroni rimasti funzionanti dopo una giornata di lavoro. Come un buco nero di hawkinghiana memoria il profluvio verbale di Celentano ha inghiottito tutta la prima puntata del Festival, compreso quello che era andato in onda prima. Non ricordo una sola canzone o il testo di una sola canzone: manco ho potuto dare vita al consueto giochetto sanremese di spernacchiare i cantanti perché copiano o l’organizzazione dello show che, per quel poco che sono riuscito a capire, suonato com’ero, faceva venire il latte ai gomiti: felice espressione torinese per disegnare un diffuso senso di malessere.

Di qui e di là, vero e falso, autorevole e spaventato dal tempo che passa (questa è l’unica cosa che ho capito in modo chiaro: Celentano ha una strizza boia di incontrare il suo ghost writer: benvenuto nel club) impegnato in vendettine personali via etere che veramente hanno poco a che fare con le armi che Sarkozy e la Merkel hanno venduto obtorto collo alla Grecia, la Celentaniade mi ha lasciato suonato come Mickey Rourke dopo una nottata di birre e cazzotti. Ma soprattutto mi ha portato via la prima serata di Sanremo. Dopo una giornata di neuroni bruciati volevo quella, pensate un po’.

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