Esce domani in edizione ebook I Signori del Rating, Conflitti di interesse e relazioni pericolose delle tre agenzie più temute dalla finanza globale, di Paolo Gila e Mario Miscali, Bollati Boringhieri. Il libro sarà scaricabile fino a domenica da tutte le piattaforme a 1,99€. Ne anticipiamo alcuni passaggi significativi.
Molte sono le domande e gli interrogativi che circondano il rating e i suoi aspetti nascosti. E quest’ombra è l’ombra delle stesse agenzie di riferimento: Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch ratings. Agenzie che lavorano in regime di quasi monopolio, detenendo insieme il 95% del mercato dei «giudizi» e che sono guidate da uomini e da capitali che hanno precisi scopi e ruoli sul mercato: perché le tre sorelle dei «giudizi universali» hanno legami e relazioni precise con il sistema economico-finanziario nel quale vivono e si sviluppano.
I Signori del Rating sono presenti e giocano su più piani, in una dinamica complessa, difficile da comprendere e da sbrogliare. In diversi paesi, compresa l’Italia, c’è chi prova a dipanare la grande matassa, per fare luce appunto su quella parte non ancora acclarata del rating e di chi lo dirige mettendo a rischio le sorti di intere economie. Questo sforzo è condiviso da organi come la Sec, l’autorità statunitense di controllo dei mercati, e più recentemente da alcune istituzioni europee come la stessa Banca Centrale e la Commissione Europea. Alcuni fatti anche recenti hanno riportato alla ribalta il dibattito sul rating, sul ruolo delle agenzie e sulle connessioni sottocutanee tra i vari operatori. L’ombra è molto buia, ma non è impossibile gettarvi un po’ di luce.
Ma in gioco non c’è solo il potere di condizionamento, c’è anche un business colossale. È questo il prezzo da pagare «all’oligopolio perfetto». Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch macinano ogni anno circa due milioni di giudizi su stati e società, ma hanno anche attività di consulenza e di supporto strategico per l’analisi e la valutazione del rischio. In alcuni casi i funzionari delle agenzie si prestano anche a consulenze specializzate: il mercato ha bisogno di loro e loro hanno bisogno del mercato, in una stretta e mutua relazione.
Il fatturato complessivo dei tre gruppi è pari a circa 4,4 miliardi di dollari. Ma la cosa ancor più interessante – e che sarà illustrata in questo libro – è che tra gli azionisti di Standard & Poor’s e quelli di Moody’s si trova il fior fiore dell’industria statunitense dei fondi di investimento: coloro che investono sul mercato sono anche coloro che «giudicano» il mercato: sono loro i Signori del Rating, i sovrani incontrastati di una dinamica che occorre chiarire, se davvero vogliamo avere un mercato finanziario aperto e trasparente senza asimmetrie informative e dove tutti gli operatori possano giocare un ruolo alla pari.
Probabilità, rischio, incertezza, complessità: sono questi i concetti fondamentali su cui la disciplina del rating è cresciuta e si è rafforzata. Una ricetta di ingredienti per bocche e intelletti sofisticati, dediti a rigorose liturgie di metodo e di stile. Robe da City, insomma, dove l’ingegneria finanziaria è il gioco per eccellenza di menti pronte a creare e ricreare mondi e sistemi finanziari sempre più evoluti. Ci vuole infatti una certa capacità intuitiva per scrutare la natura dei debitori e dei creditori e per darne un «saggio» di qualità. Rischio e incertezza devono essere valutati e contemperati anche nel credito e soprattutto nei prestiti che si concretizzano in titoli di stato, corporate bond, certificati, obbligazioni. Un conto è l’incertezza del mercato e il suo grado di serenità, un altro è invece la reale capacità da parte di un soggetto di ripagare entro i tempi stabiliti un finanziamento avuto da altri creditori.
Le principali agenzie di rating che svolgono questo compito di misurazione del rischio di credito e che, attraverso sofisticati programmi informatici, correlano i rischi del debitore con la situazione di mercato, sono Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch. La stima della capacità del debitore di far fonte al proprio impegno finanziario viene fotografata ricorrendo all’uso di una scala alfabetica e numerica, che varia da un’agenzia all’altra, pur in presenza di una comune matrice condivisa. Il voto viene attribuito secondo scale di assegnazione che partono dalla tripla A per indicare un alto grado di solvibilità dei debitori. Via via si scende con varie sfumature ai livelli B (buoni pagatori), C (mediocri e cattivi pagatori) e D (insolventi). A quest’ultimo livello si trovano i giudizi peggiori: lo stato al quale viene assegnato un giudizio D è considerato in «default» e i suoi titoli vengono classificati come Junk Bonds, titoli spazzatura. La valutazione delle agenzie di rating è complessa e tiene conto del volume del debito rispetto alla ricchezza prodotta, il piano di rientro, la qualità dei creditori, la durata e la struttura delle operazioni in essere.
Il declassamento di un operatore economico nel giudizio delle agenzie di rating ha una ripercussione immediata sui mercati: in genere si assiste a un aumento immediato e meccanico dei tassi di rendimento dei titoli obbligazionari da emettere e una diminuzione dei valori e dei prezzi dei titoli già in circolazione. Per riacquisire la fiducia degli investitori, le società e gli stati sono chiamati ad affrontare pagamenti di interessi più alti. L’Adusbef, una tra le associazioni di consumatori più note in Italia e particolarmente attenta alle questioni finanziarie, ha calcolato che il declassamento dell’Italia avanzato il 19 ottobre 2006 da Standard & Poor’s e da Fitch si è tradotto in un aggravio di 3,3 miliardi di euro di interessi da pagarsi sul debito. Nel caso in cui il livello di rating di uno stato venga migliorato si assiste invece al fenomeno opposto: l’iniezione di fiducia si traduce in un abbassamento della voce interessi sul debito.
A dettare legge in materia di rating sono le tre agenzie più famose, che da sole detengono il 95% della quota di mercato mondiale dei giudizi (i quali vengono pagati profumatamente dalle società e dagli stati che emettono titoli obbligazionari). Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch non sono però istituzioni neutrali: alla loro guida si trovano uomini e realtà che – come vedremo in dettaglio nei prossimi capitoli – hanno particolari interessi e che sono particolarmente sensibili all’andamento di mercato e alle relative quotazioni di titoli azionari e obbligazionari.
Anticipando brevemente, Standard & Poor’s è la sussidiaria della multinazionale editoriale McGraw-Hill, che ha sede a New York e che pubblica, tra le innumerevoli testate, anche «Business Week». Negli ultimi anni ha fatturato mediamente in ogni corso fiscale oltre 6 miliardi di dollari, con utili superiori agli 800 milioni di dollari. Nel suo board, Standard & Poor’s ha vantato personaggi del calibro di Sir Winfried Bishoff (presidente di Citigroup Europa), Douglas N. Daft (presidente della Coca Cola) e Sidney Taurel (presidente della farmaceutica Eli Lilly).
Moody’s – che detiene il 39% del mercato del rating mentre Standard & Poor’s ne controlla il 40% e Fitch il 15% – è di fatto una realtà posta sotto il controllo di uno dei più grandi speculatori di tutti i tempi: Warren Buffet. Nelle sue mani è incastonato almeno il 40% delle quote societarie dell’agenzia. Il 20% è controllato direttamente, mentre un altro 20% è nelle mani del suo fondo di investimento Hataway Pacific. Così, mentre con una mano il Signor Buffet elabora analisi e giudizi, con l’altra investe. Strana situazione.
La terza agenzia è Fitch, che ha sede a New York ma che è una sussidiaria della società di servizi finanziari Fimalac, la cui sede legale è invece a Parigi. Nel 2005 la società statunitense Hearst Corporation, attiva nel settore delle telecomunicazioni, ha rilevato il 20% del pacchetto azionario della società, a cui è poi seguita un’ulteriore parziale acquisizione. In tal modo Fitch risulta anch’essa una realtà dove il controllo è saldamente detenuto da mani che hanno precisi interessi in settori vitali dell’economia, quali le comunicazioni, la sicurezza, le attività produttive e, soprattutto, quelle finanziarie.
Chi controlla i controllori? C’è qualcuno che si è mai preso la briga di mettere setto la lente di ingrandimento le attività delle agenzie di rating? La risposta è negativa, almeno per quanto riguarda i meccanismi interni della fase istruttoria e di quella reportistica. Sulla parte interna non esiste di fatto alcuna possibilità di verifica: la Trimurti custodisce gelosamente i propri alambicchi e i propri utensili e nei suoi laboratori di ricerca non può entrare nessuna autorità esterna e nessun visitatore può varcare la soglia d’ingresso.
Ma c’è qualcuno che ha provato a verificare «sul campo» l’esattezza e l’efficacia delle famose pagelle. In Italia questa supervisione è stata compiuta a più riprese dall’Adusbef, una tra le più accreditate associazioni di consumatori, specializzate sui temi dell’economia e della finanza. Una prima stima è stata pubblicata nel 2006 e da allora, con cadenza annuale, il ventaglio delle osservazioni è stato progressivamente ampliato. Alla fine del 2010 il monitoraggio dell’Adusbef aveva superato abbondantemente i mille report. Nel corso degli anni, cioè, sono stati presi in considerazione oltre mille giudizi, che per gli operatori dei mercati finanziari si possono tradurre in consigli per gli acquisti o per le vendite. Secondo le considerazioni dell’Adusbef «i rapporti delle agenzie di rating sono risultati sbagliati al 91% e la loro efficacia risulta pari al 9%».