Il loro disarmo era uno degli impegni prioritari del nuovo governo libico che deve traghettare il paese nel dopo-Gheddafi. Invece, a un anno dall’inizio della guerra civile che ha poi portato all’intervento della Nato e alla cacciata del dittatore, le milizie sono la principale minaccia alla stabilità della nuova Libia. Lo documenta un rapporto reso pubblico oggi da Amnesty International, che si apre, con una frase di Navi Pillay, Alto commissario Onu per i diritti umani: “La mancanza di controllo da parte del governo centrale produce un ambiente favorevole alle torture e agli abusi”.
“L’assenza di legge ancora pervade la Libia un anno dopo l’inizio della rivolta – scrive Amnesty – Centinaia di miliziani, generalmente considerati eroi in Libia per il ruolo che hanno avuto nel rovesciare il regime, sono ora fuori da ogni controllo. Le loro azioni e il rifiuto di deporre le armi o unirsi ai ranghi dell’esercito regolare – scrive ancora l’organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani – minacciano di destabilizzare la Libia, bloccare la necessaria costruzione di istituzioni basata sullo stato di diritto e deludere le speranze di milioni di persone che sono scese in piazza per chiedere libertà, giustizia, rispetto per i diritti umani e dignità”.
Il rapporto di Amnesty prosegue descrivendo una situazione per cui centinaia di piccoli gruppi di miliziani armati, spesso stabiliti a livello locale nelle settimane dei combattimenti, continuano a controllare porzioni di territorio libico, a volte in aperto scontro con le autorità statali e spesso ingaggiando scontri armate con altre milizie. Scontri che hanno provocato vittime “tra i combattenti e tra i civili”.
Non solo: “I miliziani hanno preso prigionieri centinaia di lealisti di Gheddafi e di presunti mercenari stranieri, molti dei quali sono stati maltrattati e torturati, a volte fino alla morte”. Decine di migliaia di persone, secondo Amnesty, sono state costrette a lasciare le proprie case dalle milizie lanciate in saccheggi e devastazioni contro presunti fedeli del dittatore. La pratica degli arresti arbitrari, al di fuori di qualsiasi controllo da parte delle autorità statali, continua ancora con “migliaia di detenuti arrestati senza alcun processo e senza la possibilità di contestare la legalità del loro fermo”.
Il rapporto è basato sulle ricerche sul campo condotte dal personale di Amnesty che ha intervistato centinaia di persone che sono state detenute a Sirte, Misurata, Tripoli, al-Zawyah e Gharian. I racconti, terribili come ogni racconto di tortura, sono stati verificati sulla base dei referti medici raccolti, integrati anche con le autopsie condotte sui prigionieri morti durante la detenzione. A rimanere nelle mani delle milizie, peraltro, oltre a presunti sostenitori del vecchio regime, ci sono soprattutto migranti dell’Africa subsahariana, che già nelle settimane di combattimenti erano stati vittime di una vera e propria caccia all’uomo. La maggior parte di loro, dice Amnesty, “è solo accusata di essere entrata in Libia illegalmente e continua a essere tenuta in stato d’arresto anche a prescindere dal fatto che potrebbe invece avere titolo per una qualche protezione internazionale”. Il potere delle milizie non si ferma alle vittime, notano i ricercatori di Amnesty. Medici, personale internazionale, attivisti per i diritti umani erano troppo spaventati per denunciare le violenze di cui avevano avuto notizia o che avevano potuto verificare di persona. “Le loro paure erano fondate – aggiunge AI – Persone che hanno presentato denunce sono state minacciate o attaccate dalle milizie”.
Quanto al governo libico, Amnesty ricostruisce puntualmente le informazioni che sono state presentate alle nuove autorità di Tripoli a più riprese, tra maggio, settembre e ottobre del 2011, così come ricorda che il 26 gennaio 2012 Medici senza frontiere ha deciso di interrompere il suo lavoro in un centro di detenzione a Misurata per protestare contro le torture che continuavano ad avvenire contro i detenuti: “Il governo guidato dal Consiglio nazionale di transizione, tuttavia, sembra non avere né il potere né la volontà politica per porre un freno alle milizie, molte delle quali sono riluttanti a deporre le armi e a sottoporsi all’autorità centrale. Le autorità non hanno voluto riconoscere la scala degli abusi, limitandosi al massimo ad ammettere casi individuali, nonostante l’evidenza di abusi diffusi e sistematici in molte parti del Paese. Tutto ciò assieme al fatto che i responsabili non sono stati chiamati a rendere conto, manda il segnale sbagliato e incoraggia le milizie a commettere ulteriori abusi”.
Gli impegni più volte ripetuti pubblicamente dai portavoce del governo e del Cnt non sono finora stati rispettati, aggiunge Amnesty, “nemmeno per i casi più gravi”. Difficilmente la nuova Libia poteva partire peggio di così.
di Joseph Zarlingo