Grazie a Milena Gabanelli, circola sul Web una intervista a Giuliano Cazzola dalla quale emergono alcune cose interessanti circa la legge 122.
Per i pochi ai quali fosse sfuggito, la legge 122 fu varata nel luglio 2010 e prevedeva che la ricongiunzione dei contributi previdenziali da Inpdap (ente previdenziale dei dipendenti della pubblica amministrazione) a Inps divenisse onerosa. Onerosa sta a significare che chi vuole cumulare nell’Inps i propri contributi, avendo versato inizialmente a Inpdap e successivamente all’Inps, deve versarli nuovamente e con interessi.
Nel 2011 una deputata della commissione lavoro, Maria Luisa Gnecchi, si è accorta di quello che secondo Lei è un problema (non per la ministra Fornero) e si è fatta promotrice di una proposta di legge per cancellare la malefatta; la proposta ha languito in Parlamento e poi, alla caduta del Governo con l’insediamento di Monti e annessa riforma d’urgenza (di cassa) della Previdenza, è stata mantenuta sospesa.
Venenum in cauda, Cazzola ha chiuso precisando che “non si è trattato di un errore materiale; è stata una decisione politica che poi si è rivelata sbagliata”; in soldoni: chi scriveva la legge sapeva benissimo cosa stava facendo e le sue conseguenze, ma ha deciso di farlo ugualmente.
Sul Corriere della Sera del 14 febbraio, la ministra Fornero, precisando di parlare “come esperta di sistemi previdenziali prima ancora che come ministro del Lavoro”, ha sostenuto la sua tesi che la legge 122 è giusta in quanto “l’imposizione di un onere di ricongiunzione risponde a criteri di equità tra le categorie”.
La ministra non entra nei dettagli, però le cifre richieste dall’Inps e documentate dalle cartelle mostrate dagli intervistati, fanno pensare che ci siano parecchi punti da chiarire, soprattutto rispetto alla abusata parola “equità”. La ministra precisa che c’è un’alternativa alla ricongiunzione, la “totalizzazione”, in base alla quale si possono cumulare i contributi in un unico ente, però accettando il calcolo della pensione con il sistema contributivo e quindi con una sostanziosa sforbiciata; mi pare che si sia di fronte sostanzialmente a un ricatto che si può esprimere così: avete versato i vostri contributi a due enti (entrambi statali), in qualsiasi mondo normale dovreste poterli cumulare, invece noi per concedervelo vi poniamo l’alternativa tra pagarne di nuovo una parte oppure accettare una penalizzazione significativa.
Qui conviene andare a leggersi anche quanto ha detto Cazzola, anch’egli “esperto di sistemi previdenziali”, il quale sembra seguire un filo più logico: “In passato (le ricongiunzioni, ndr), erano onerose o gratuite. Le prime erano quelle in cui si passava da un regime meno conveniente a uno più conveniente, come nel caso, ad esempio, di passaggio dall’Inps all’Inpdap o dal fondo pensioni del lavoro artigiano a quello del lavoro dipendente. Le seconde riguardavano, invece, i casi opposti, quelli in cui si passava da regimi più convenienti a regimi meno convenienti». Ora tutto è divenuto oneroso.”
Nessuno mette in discussione il fatto (equo, ministra Fornero) che chi si va a costituire un beneficio debba contribuire; nel caso presente, invece, il miglioramento consiste nel rimediare a una separazione di sistemi previdenziale entrambi forzosi ed entrambi statali; insomma, i lavoratori hanno contributi separati perché lo Stato così ha voluto. Ci si aspetterebbe quindi che non fosse richiesto niente. Invece si “coglie la palla al balzo” e si approfitta (iniquamente, ministra Fornero) del passaggio per forzare il contributivo anche a coloro che avrebbero, come gli altri, le carte in regola per il retributivo.
Infine, la ministra non ha perso l’occasione per spezzare una lancia in favore della sua visione “sauna finlandese” del come si fanno le riforme alle pensioni altrui: “Mi rendo ben conto che, cambiando le regole, alcuni lavoratori riceveranno un trattamento meno favorevole rispetto a colleghi che, a parità di condizioni, hanno avuto accesso alla ricongiunzione gratuita (magari solo pochi mesi prima). Questa è però una caratteristica che si presenta ogni qual volta viene abolito un «privilegio»: si determina un effetto di transizione per cui la situazione di chi deve andare in pensione è allineata ai pensionati del futuro ma disallineata rispetto a quelli del passato.”
La ministra Fornero ci ha abituati ai suoi modi assertivi e alla contrarietà a mettere in discussione costruttiva le sue idee ma qui, mentre ci fa lezione, cade in un lapsus, menzionando la parola “transizione“, cioè proprio quella che le si chiedeva e non ha voluto fare.
Mi tocca diventare assertivo a mia volta:
“Transizione: s.f. Passaggio da una situazione a un’altra, sia in senso statico, come condizione intermedia definita, che in senso dinamico, in quanto implichi l’idea di un’evoluzione in atto” (Devoto Oli).
Cara (si fa per dire) ministra, ma dove sarebbero nelle sue leggi la condizione intermedia e/o l’evoluzione? Vediamo solo muri improvvisi, nel luglio 2010 così come al 31 dicembre 2011. La “transizione” farebbe bene a metabolizzarla e poi metterla in pratica; citarla senza farla serve solo a girare il coltello nelle piaghe dei cittadini.