Lo certificano le statistiche, lo dicono i fatti. L’aggressione ai capitali mafiosi e camorristici consente di recuperare ingenti risorse per lo Stato e depotenzia enormemente la pericolosità dei clan. Ma, sottolinea la Procura di Napoli nella relazione annuale al procuratore generale partenopeo, la manovra economica varata dal Governo Monti e i tagli alla spesa pubblica privilegiano la lotta all’evasione ma non menzionano né stimolano il contrasto alla criminalità organizzata. Ed è un peccato, secondo il procuratore aggiunto della Dda Federico Cafiero de Raho, che di questo documento ha curato la parte relativa ai sequestri, alle confische e alle politiche di contrasto della camorra. Perché la guerra ai clan si attua – parole del magistrato da anni in prima linea – “fronteggiando l’economia mafiosa e aggredendo con la confisca i patrimoni mafiosi. Per questo obiettivo è necessario investire risorse che consentono il recupero di consistenti ricchezze della camorra. Ma su questo obiettivo vi è ancora ben poca consapevolezza, soprattutto ai livelli più alti, dove probabilmente non è apprezzato il valore dei sequestri”. Sequestri che solo nell’anno appena concluso hanno raggiunto la quota di poco più di due miliardi e duecento milioni di euro in beni mobili e immobili. “E’ per questo che la strategia di aggressione ai patrimoni mafiosi è espressione dello slancio lavorativo di pochi, anziché il modello trainante delle indagini di criminalità organizzata”.
Il dovuto garbo istituzionale con cui vengono espresse, non celano le critiche al governo contenute nei passaggi di una relazione che in altre parti dedica molto spazio all’analisi e all’evoluzione del fenomeno camorristico nelle province di Napoli e Caserta. La Dda individua la camorra in numerosi gruppi criminali le cui caratteristiche la rendono riconducibile a due tipologie fondamentali. La maggiore frammentazione e il minore radicamento territoriale connotano le cosche operanti nell’area metropolitana di Napoli. La stabilità e l’unitarietà sono invece il tratto distintivo dei clan che agiscono nelle aree casertane e del nolano-vesuviano. La camorra nel suo complesso però ha caratteristiche comuni in tutti i territori: una efficiente organizzazione, la capacità di stringere relazioni di potere e di infiltrarsi nella politica, e di esercitare l’impresa mafiosa condizionando il mercato e lo sviluppo locale. Un sistema complesso in cui la cosiddetta struttura militare, dedicata al controllo del territorio e all’estorsione e l’usura, è subordinata e servente alla struttura economico-imprenditoriale, fatta di imprenditori e professionisti collusi.
Quell’area grigia in cui cosche e classe dirigente si incontrano, stringono accordi, fanno affari, dividono appalti. L’indagine sul clan Polverino dell’anno scorso ha dimostrato per l’ennesima volta che la camorra condiziona il circuito economico attraverso la costituzione di società che fanno capo alla stessa organizzazione criminale, tramite intestazioni fittizie e prestanomi. Ed ovviamente si giova della possibilità di ‘ripulire’ i capitali provenienti dallo spaccio di droga e dal racket, ottenendo due obiettivi in un colpo solo: riciclare le somme illecite e rafforzare il clan.
Attenzione, sottolinea la Procura: è in momenti di crisi come questo che anche l’imprenditore “sano” trova conveniente giovarsi del capitale mafioso. Ed è per questa ragione che quando la camorra ‘rompe’ ogni regola di mercato, l’imprenditore che non vuole piegarsi a questo gioco deve necessariamente aprire un colloquio con lo Stato e collaborare all’avvio di indagini mirate. E lo Stato deve trovarsi pronto.