Mario Landolfi, poliziotto in servizio in Questura la notte del 27 maggio 2011, testimonia al processo contro Silvio Berlusconi. E conferma che le disposizioni del pm minorile Fiorillo furono disattese per le telefonate della Presidenza del consiglio. Resta a Milano il dibattimento contro Minetti, Fede e Mora
Il capo di gabinetto Pietro Ostuni “chiedeva di accelerare le pratiche per il rilascio” di Karima al Marough detta Ruby, ha raccontato Landolfi. Il commissario capo Giorgia Iafrate lo chiamò per dirgli che la ragazza non doveva “essere fotosegnalata” ma bensì “lasciata andare”. E questo perché Iafrate aveva ricevuto una telefonata di Ostuni che a sua volta era stato contattato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, che indicava la ragazza come la nipote dell’allora presidente egiziano Mubarak.
Il pm Fiorillo aveva disposto che Ruby dovesse essere fotosegnalata e collocata in una comunità o altrimenti trattenuta in questura, ma “la dottoressa Iafrate riceveva in continuazione telefonate da Ostuni che chiedeva di accelerare le pratiche del rilascio poiché alla Presidenza del Consiglio aveva già detto che era stata rilasciata”. La dottoressa Iafrate, ha proseguito Landolfi, “era molto agitata. Andava avanti e indietro, si alzava per andare verso la ragazza… Il questore non fu avvisato di quanto stava accadendo”.
Così Ruby, arrivata in Questura in seguito a una denuncia per furto, venne affidata a Nicole Minetti – altra protagonista delle notti di Arcore che si era qualificata come “consigliere ministeriale regionale presso la presidenza del consiglio dei ministri” – prima che fosse recuperata, come aveva disposto il pm Fiorillo, una copia dei suoi documenti di identità. Come risulta dalle carte ed è stato riaffermato in aula, il verbale di affidamento alla consigliera regionale, imputata in un altro processo, è stato stilato alle due di notte, mentre i documenti di identità sono arrivati il giorno dopo. Rispondendo al pm Antonio Sangermano che gli chiedeva se non gli fosse venuto qualche dubbio sulla parentela della marocchina con l’ex presidente egiziano, Landolfi ha risposto: “Ho dato per certo che i superiori o la dottoressa Iafrate avessero accertato l’effettiva parentela con Mubarak”.
Di importanza strategica anche la testimonianza di Gigliola Graziani, ex titolare della comunità di Genova che a partire dal 30 giugno 2010 ha ospitato la ragazza fino a quando è diventata maggiorenne. La donna ha raccontato delle molte ‘fughe’ di Ruby dalla struttura e che “quando tornava aveva tanti soldi. L’ho saputo dalle ragazze perché si faceva bella mostrando loro il denaro. Una volta è stata fermata dalla polizia e le avevano trovato addosso 5 mila euro”. Gigliola Graziani ha poi ribadito che la giovane aveva “tantissimi vestiti griffati e tanti gioielli”. Gioielli che sono stati poi ‘inventariati’ anche dai carabinieri, come ad esempio “una collana con perle molto grosse che, come aveva detto Ruby, le aveva regalato Berlusconi, che chiamava ‘papi‘. Lei credeva che le perle fossero vere ma invece era tutta paccottaglia. Una volta, inoltre, Ruby mi disse che Silvio Berlusconi l’aveva aiutata dandole dei soldi perchè non sapeva più come andare avanti”.
Intanto resterà a Milano l’altro processo sulle notti di Arcore, che vede imputati per favoreggiamento della prostituzione la stessa Minetti, Emilio Fede e Lele Mora. Lo hanno deciso i giudici, che hanno respinto le eccezioni di competenza territoriale delle difese che volevano spostare il procedimento a Messina (dove è avvenuto il primo incontro tra Fede e Ruby) o a Monza (competente per territorio su Arcore). Intanto accusa e difese si sono dette contrarie alle riprese televisive in aula, questione sulla quale i giudici si pronunceranno il 2 marzo.