Lo sport come proseguimento della politica con altri mezzi. A trent’anni di distanza dall’ultimo sanguinoso conflitto per il controllo delle isole Malvinas – un arcipelago situato nell’oceano Atlantico meridionale, di fronte alle coste argentine, ritornato dal 1982 sotto sovranità dei britannici che le chiamano Falkland – la situazione è tornata ad essere esplosiva. E lo sport argentino ha deciso di fare la sua parte. Prima con un progetto di legge presentato a dicembre che chiedeva che la spedizione argentina si presentasse alle Olimpiadi di Londra 2012 con cucito sulle proprie maglie uno stemma con scritto: “Las Islas Malvinas son Argentinas“. Poi con la recente decisione della federcalcio argentina (AFA) di rinominare il campionato di Clausura in corso come Torneo Crucero General Belgrano. Il tutto in onore dell’incrociatore argentino affondato da un sottomarino inglese durante la guerra del 1982, quando due siluri britannici provocarono oltre 300 morti. Ancora oggi c’è una disputa per comprendere se l’affondamento della nave sia stato un’azione legittima, come rivendicano gli inglesi, o un crimine di guerra, come sostengono gli argentini, dato che la nave si trovava fuori dalle acque di guerra.
Inoltre, alla squadra vincitrice del campionato di Clausura sarà consegnato il trofeo Gaucho Rivero, dal nome di Antonio ‘El Gaucho’ Rivero, un abitante delle Malvinas che il 26 agosto del 1833 uccise cinque coloni britannici. Colonizzate dal XVI secolo dagli esploratori europei, spartite più volte tra Francia, Spagna e Inghilterra, passate definitivamente sotto dominio britannico nel 1833, le isole Falkland/Malvinas erano considerate poco più che un ammasso di scogli. Fino al 1982, quando la sanguinaria dittatura militare argentina, minata da una fortissima crisi economica, diede il via all’Operación Rosario e, con una mossa disperata per riguadagnare consenso, invase le isole dichiarandole province argentine. Dall’altra parte dell’oceano, una Margaret Thatcher in uguali difficoltà, con le elezioni che si avvicinavano e che avrebbe certamente perduto, rispose inviando la marina e l’aviazione che in poco più di un mese riconquistarono l’isola al prezzo di più di mille morti. La situazione è rimasta di stallo per lunghi anni, fino a quando la recente individuazione di giacimenti petroliferi nelle acque dell’arcipelago – si stima una riserva di otto miliardi di barili – ha riaperto le ostilità.
Da una parte la corona britannica ha deciso di celebrare in pompa magna il trentennale del conflitto. Previsti per giugno l’invio sull’isola di una delegazione del ministero degli esteri e una messa nella cattedrale londinese di St. Paul, c’è già stato l’invio nell’arcipelago di una nave da guerra accompagnata da un tour promozionale del principe William con la RAF (l’aviazione britannica). Dall’altra, la presidentessa Kirchner ha apertamente parlato di provocazioni e ha ribadito la sua volontà di coinvolgere l’Onu per restituire la sovranità delle isole all’Argentina. Al suo fianco diversi presidenti sudamericani e star hollywoodiane come Sean Penn. In Argentina la situazione è bollente. Nel Paese sono cominciate a montare proteste antibritanniche con le bandiere dell’Union Jack bruciate in piazza. E anche lo sport ha deciso di fare la sua parte, con la decisione presa da Julio Grondona, segretario dell’Afa, di intitolare il campionato alla nave simbolo dei martiri del conflitto del 1982.
La FIFA ha subito scritto all’AFA che la decisione è inaccettabile, poiché, come da articolo 3 dello statuto della federazione internazionale del calcio “è chiaramente proibita la discriminazione di altri Paesi, persone e gruppi per ragioni politiche, religiose, di origine etnica, di sesso o di lingua” e che “sono altrettanto proibite le affermazioni politiche sulle divise e sull’attrezzatura delle squadre”. Il problema è che Grondona, da ben prima del conflitto del 1982 potentissimo padre padrone del calcio argentino, lo sa benissimo, essendo uno dei vicepresidenti della stessa FIFA. Già l’anno scorso, dopo le votazioni per l’assegnazione dei Mondiali di calcio del 2018 e 2022, aveva dichiarato che avrebbe sostenuto la candidatura inglese “solo nel caso che avessero restituito le Malvinas all’Argentina”. Ma è da tempo che lo sport si è fatto prosecuzione della politica con altri mezzi. Dopo aver demolito calcisticamente l’Inghilterra ai mondiali del 1986 Maradona dichiarò che lo aveva fatto con i morti del conflitto delle Malvinas nel cuore. E in questi giorni in tutti gli stadi argentini, ad ogni partita sale sempre più forte il coro “El que no salta es un inglés”.