La normativa stabilisce che almeno sul 20 per cento del territorio provinciale debbano essere proibite le doppiette. E per raggiungere la quota minima c'è chi si è inventato "riserve" improbabili. L'esposto in Procura del Movimento 5 Stelle
A fare capire bene la situazione ci pensa un filmato di 5 minuti su youtube che mostra cartelli con la scritta “Zona di rifugio, divieto di caccia”, appesi in luoghi dove la fauna selvatica difficilmente potrebbe rifugiarsi. Ad esempio a pochi metri da un centro commerciale o da un complesso di uffici, con sedi di partito annesse. E infatti il comunicato dei 5 Stelle ci va giù duro. “Sarà capitato a molti di imbattersi in beccacce e pernici a passeggio tra le officine, oppure di scorgere le orecchie di un leprotto dietro gli scaffali della Coop a far quietamente capolino tra i barattoli di pelati. Sono cose che capitano, qui a Ravenna.”
Poi l’elenco delle aree classificate come di ripopolamento: “il Centro Commerciale ESP e buona parte dell’abitato di Borgo Montone, il Centro Iperbarico e l’immensa area asfaltata del Consar, la zona dal cinema Astoria alla coop Teodora con relativi parcheggi, l’intero insediamento dei capannoni alle Bassette, un quartiere tra viale Europa e via Antica Milizia, tutto l’abitato chiuso fra viale Randi, la Classicana e la Faentina, Cinema City compreso, una parte di Classe e quasi tutto Ponte Nuovo”. Da qui l’esposto che Pietro Vandini, consigliere del Movimento 5 Stelle di Ravenna, presenterà in procura. Il problema è evidente. Una legge statale, la 157 dell’11 febbraio 1992 stabilisce che su almeno il 20% del territorio provinciale debba essere vietata la caccia. “ Il territorio agro-silvo-pastorale di ogni regione – recita la legge – è destinato per una quota dal 20 al 30 per cento a protezione della fauna selvatica”. Per gestire queste aree le istituzioni hanno l’obbligo di pianificazione e di predisporre piani faunistico-venatori.
Difficile però credere che un tasso o una faina possano rifugiarsi tra palazzi e parcheggi. Ecco allora che nel video i grillini si travestono da conigli, con tanto di orecchie rosa e tutina, e si muovono tra caseggiati, uffici e centri commerciali inseguiti da improbabili cacciatori “disonesti” che hanno deciso di violare la legge e praticare la loro attività in quelli che dovrebbero essere santuari della natura. I grillini provano a spiegare il perché di questa situazione: “ Ci sorge il dubbio che preziose aree di tutela come quelle appena citate siano state inserite, spacciate per terreni agricoli, per raggiungere la quota del 20% stabilita dalla legge. Di più, sarebbe un grave illecito l’istituzione di riserve fasulle perché servirebbe a ricomprendere in quella percentuale anche zone evidentemente inadatte ad ospitare fauna selvatica e, di conseguenza, a permettere l’attività venatoria su una area più vasta di quella consentita dalla legge. Si aggiunga che in questo modo il numero di licenze di caccia disponibili aumenta poiché, tanto maggiore è la superficie cacciabile, quante più le licenze che è possibile concedere.” Insomma un favore ai cacciatori, “da sempre bacino di voti consistente”.
A difendersi sono proprio i cacciatori. Claudio Miccoli, presidente dell’associazione caccia Emilia-Romagna, spiega come “in un territorio fortemente antropizzato come il nostro capita che le zone di divieto cadano entro zone che un tempo erano agricole, e che ora non lo sono più”. Miccoli lamenta come la caccia abbia già pagato “un pesante dazio al Parco del Delta, e che la Standiana ad esempio è ormai chiusa alla caccia da 40 anni”.