Una rubrica settimanale che si nutre di televisione e collaterali, stavolta, è terribilmente senza uscite. Complicato non parlare del Festival di Sanremo in coda a una settimana tempestata di Festival di Sanremo con la concorrenza in vacanza (tranne Corrado Formigli con la sua Piazzapulita e un coraggioso Matrix da Atene, strano vedere Alessio Vinci per come veniva descritto prima di conoscerlo davvero su Canale 5, fra cronaca nera e pollai decisamente vecchio stile).
Adesso che il Festival è finito non si può dire (ah, la solita filastrocca) che sia il peggiore di sempre, non prima di aver vissuto il prossimo. Si può dire, invece, che Sanremo è la cattiva conservazione di una liturgia che a molti piace, a molti incuriosisce, a molti innervosisce. Sanremo è un palcoscenico ambito e utile per le migliaia di euro che spende (o sperpera?) e per la spinta propulsiva che può offrire, ma che dura nel tempo soltanto se i cantanti e conduttori e vallette hanno un talento vero e un cervello intatto.
Quel che stupisce è il silenzio dei presentatori, di chi andava all’Ariston e di chi spera di andarci o ritornarci. Adriano Celentano ha portato in scena se stesso (mentre scriviamo non si è ancora esibito per la seconda volta, ndr) con tutti i suoi pregi artistici e tutti i suoi difetti oratori, ma Celentano (e l’azienda Rai) sapevano di creare panico e scompiglio con le parole.
Perché intorno al Festival gira un sacco di omertà oppure, se volete una definizione più morbida, un sacco di raffinata tattica. Nessun protagonista televisivo (a parte Victoria Cabello e pochissimi altri) s’è lasciato scappare un giudizio su Sanremo, nemmeno un sospiro, una battuta. Direte: che beneficio ne avrebbero ricavato? Forse, qualche nemico in più all’interno di una categoria che finge faide e qualche estimatore in più all’esterno.
Questa edizione – come il governo – è stato un Sanremo tecnico, nel senso di ”provvisorio” e dunque con le lotte di partito momentaneamente sospese. L’anno prossimo ci sarà un Festival diverso e una Rai sostanzialmente diversa, ma sempre irraggiungibile – c’è da giurarci – per i vari Daniele Luttazzi, Beppe Grillo e Celentano: possiamo condividere quasi zero di quel che dicono o quel che fanno, ma non meritano più spazio di una farfallina disegnata? Non si è mai capito se è stato più dannoso Celentano che si è augurato la chiusura di due giornali cattolici oppure il malizioso spacco inguinale di Belén, assieme a decine di ammiccamenti sessuali in un’epoca dove è più facile scaricarsi un filmetto porno che un premio Oscar.
Ora che Sanremo è finito, le cordate (agenti, amici, Maria De Filippi) si stanno preparando ai prossimi Sanremo, stanno studiando come spartire la notorietà e il flusso di pubblico, stanno semplicemente costruendo un nuovo potere. Perché non c’è una strada dritta fra il brutto e il bello, ma tante versioni intermedie, a volte peggiori.
Il Fatto Quotidiano, 19 febbraio 2012