Il decreto Salva Italia prevede il pagamento di un abbonamento speciale su apparecchi che ricevono trasmissioni radiotv fuori dall'ambito familiare. E viale Mazzini pretende di riscuotere la tassa
Il web è infuriato contro viale Mazzini che quest’anno ha annunciato di voler far pagare il canone a chiunque possieda un dispositivo collegato alla Rete, colpendo in particolare aziende e liberi professionisti. Per farlo, ha deciso di applicare il regio decreto 246 del 21 febbraio 1938 che stabilisce il versamento della tassa per “chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni”. A giustificare la disposizione è l’articolo 17 del decreto ‘Salva Italia’ varato dal governo Monti, secondo cui “le imprese e le società […] devono indicare il numero di abbonamento speciale alla radio o alla televisione la categoria di appartenenza ai fini dell’applicazione della tariffa di abbonamento radiotelevisivo speciale”. E il costo varia dai 200 ai 6mila euro.
“Hai un cesso, in casa? Paghi il canone Rai, perché è adattabile alla ricezione TV”, scrive Daily Twetter News e Davide replica con sarcasmo: “Se hai un lenzuolo bianco appeso al muro devi pagare il canone”. C’è poi chi fa ironia: “Questa notte – twitta Oreste – spero di non sognare la farfallina di Belen altrimenti dovrò pagare il canone”, ma a lui si aggiungono decine di utenti che esprimono indignazione. “Il mio computer non si tocca”, notano sul sito di microblogging perché “se ho solo un pc non devo pagare il canone”.
“Questa iniziativa della Rai è aggressiva e intollerabile”. Dalla Rete la protesta si estende anche alle aziende e al mondo della politica. Mario Venturi, presidente di Rete Imprese Italia, scrive che “la richiesta del pagamento del canone a tutte le imprese, senza un riscontro delle reali situazioni operative, sembra rispondere ad una non dichiarata ma evidente esigenza di ‘far cassa’” e data la “palese iniquità” del provvedimento, chiede l’immediato “intervento del governo” perché siano esclusi dal pagamento gli apparecchi che “fungono da strumenti di lavoro per le aziende, quali computer, telefoni cellulari e strumenti similari. Questa iniziativa della Rai è aggressiva e intollerabile”. Gli stessi motivi che hanno indotto il senatore Alessio Butti, capogruppo del Pdl nella Commissione di Vigilanza sulla Rai, a chiedere al ministro dello Sviluppo Corrado Passera di intervenire sulla richiesta della Rai e hanno convinto il senatore pd Salvatore Tomaselli della Commissione Industria del Senato a presentare un’interrogazione urgente al premier Mario Monti. Ma per il momento, da parte dell’esecutivo, non è arrivata nessuna risposta.
Ma se la norma è del 1938 perché soltanto oggi scoppia la polemica? “Anche in passato la Rai aveva tentato di avanzare le stesse pretese”, spiega Guido Scorza, esperto di tecnologie e diritto digitale. Solo quest’anno, e grazie all’articolo 17 del decreto ‘Salva Italia’, Viale Mazzini ha deciso di formalizzarle per la prima volta in maniera scritta. Se la norma passa per liberi professionisti e aziende, le conseguenze saranno pesanti anche per i cittadini, perché “il decreto regio del 1938 non fa alcuna distinzione tra loro e le imprese”. E in attesa di una risposta del governo, sul web continua la protesta anche sulla qualità dell’offerta del servizio pubblico: “Si, il mio smartphone è in grado di riprodurre i vostri contenuti – scrive su Twitter Matteo – ma è la mia dignità a non consentiglielo”. Un’altra voce che si aggiunge al coro di chi il canone hi tech non lo vuole proprio pagare.