Canone Rai speciale, no grazie. Parte da Parma la protesta contro la tassa per uffici e negozi che usino computer, tablet, smartphone e altri apparecchi tecnologici adatti a ricevere il segnale tv e quindi a visualizzare i programmi. A muoversi è l’associazione Nuovi Consumatori, promuovendo una raccolta firme destinata al ministro per lo Sviluppo economico Corrado Passera. Una mobilitazione che ha già raccolto centinaia di adesioni in rete e sui social network, e dato il via ad decine di altre petizioni in tutt’Italia.
Per capire la questione bisogna tornare indietro nel tempo fino al fascismo. Risale al 1938 infatti il regio decreto n. 246, che permette alla Rai di pretendere il versamento di un canone speciale. Nato per regolamentare le trasmissioni radiofoniche nei luoghi pubblici, il decreto prevede che “chiunque detenga uno o più apparecchi” simili sia soggetto al pagamento di una tassa. Inoltre, con la legge del 23 dicembre 1999 numero 488, all’articolo 16 e poi al 18, sono stati inclusi tra i soggetti interessati anche gli studi professionali et similia. Attività che non possiedono un televisore, per il quale ovviamente il canone è già previsto, ma che dispongono di altri supporti necessari allo svolgimento della loro professione.
L’ultimatum per il pagamento del canone (pena l’invio di commissari controllori della Rai pronti a sanzionare i trasgressori, che aveva generato negli anni passati ondate di proteste in tutta Italia) arriva quindi anche a studi professionali, uffici e piccole – medie aziende. Tutte realtà che spesso però si avvalgono di mezzi tecnici solo per lavorare, ad esempio, utilizzando i computer per telematizzare le operazioni professionali, come gli studi legali.
“È uno scandalo – commenta Filippo Greci, presidente nazionale di Nuovi Consumatori di Parma – si tratta di un balzello dal sapore feudale che si rifà a un decreto regio introdotto in pieno governo Mussolini e a una legge del 1999, che peraltro non è nemmeno chiara. Tra l’altro – va avanti – la richiesta è inviata tramite normale lettera e non con raccomandata, il che lascia intendere la semplice presunzione relativa all’esistenza dell’apparecchio”. Difficile anche fare i controlli e stabilire chi deve effettivamente pagare perché fruitore del servizio e chi no. Infatti, solamente i pubblici ufficiali, come ad esempio la Guardia di Finanza, che agiscono su delega dell’agenzia delle Entrate hanno sono legittimati e autorizzati a fare una normale verifica, come il controllo sui regolari pagamenti di tasse ed imposte secondo i dettami dello Statuto dei Contribuenti .
Per di più pare che nemmeno il ministero, le forze dell’ordine, e in generale gli addetti ai lavori, interpellati dall’associazione sappiano con precisione dire chi debba pagare e chi no. “Abbiamo svolto una piccola indagine e nessuno ha saputo dirci quali sono gli apparecchi effettivamente soggetti al pagamento del canone speciale, la Rai ha semplicemente interpretato la legge a suo favore”.Ciò che sembra chiaro, aggiungono dall’associazione parmense “pare essere solo l’obbligo di sborsare altri soldi, anche se gli apparecchi elencati non sono utilizzati per la ricezione dei programmi televisivi”.
Per questo, oltre all’invito a non corrispondere la cifra richiesta nel bollettino allegato alla comunicazione, “perché se uno abbocca una volta poi la Rai ha la conferma che tu sia effettivamente in possesso di uno strumento per guardare i programmi televisivi, anche se magari non è vero”, Nuovi Consumatori ha lanciato una petizione. “La campagna parte oggi e il 27 febbraio inizieremo a raccogliere le firme contro il pagamento di questo canone speciale, che se può essere giustificato per hotel o circoli è assurdo per chi con la tecnologia ci lavora semplicemente. Firme che porterò personalmente al ministro Corrado Passera, perché è necessario che lo Stato intervenga per chiarire la situazione e abrogare una simile disposizione, approvando una legge che non penalizzi la categoria e allo stesso tempo non deprima il mercato di cellulari, tablet e computer”.
Anche il web non perdona la Rai. In questi giorni si moltiplicano di ora in ora gli insulti rivolti a viale Mazzini. Per farsi un’idea basta fare un giro su Twitter, dove gli interventi sulla questione si raccolgono intorno a una parola chiave che non ha bisogno di altri commenti: #raimerda.