Quando un goloso entra in una pasticceria a volte sa già quello che vorrebbe mangiare; altre invece si lascia trasportare dall’estro del momento e osserva con attenzione la vetrina. Se poi quel giorno il pasticcere propone una nuova pasta, magari perché ha trovato delle fragole fresche, la gioia del goloso si unisce alla curiosità. Uso questa metafora perché così mi sento quando entro in una libreria. A differenza del goloso, io entro anche solo per guardare. A volte, per ragioni finanziarie, sono a dieta e allora mi devo contentare di sfogliare le novità e curiosare tra lo scaffale della lirica se per caso ci fosse qualche poesia facile da rubare, cibandomi gratis di quella rivelazione; e se ne trovo una di mio gusto decido che prima o poi quel poeta verrà via con me.
Sabato mattina sono entrata per comprarmi un libro che precedentemente avevo sfogliato. Mi aveva attirato il titolo: Un cuore intelligente.
Sono nove saggi dedicati a nove romanzi. Non proprio il mio genere, non proprio il mio prezzo. L’autore aveva un nome difficile da pronunciare e a me sconosciuto: lo chiamerò con la sua iniziale, F. Tra le cose che mi avevano convinto a tornare e a comprarlo c’era la frase racchiusa nelle pagine iniziali e finali: “Senza letteratura ci sarebbe per sempre preclusa la grazia di un cuore intelligente”. Posso dire presuntuosamente che il mio lo sia diventato un po’ di più grazie al saggio dedicato da F. al romanzo autobiografico di Camus, Il primo uomo.
Il manoscritto fu tirato fuori dalle lamiere dell’automobile in cui Albert Camus aveva perso la vita. Era il 1960 e aveva 46 anni. Il libro raccontava, sotto forma di romanzo, la storia del padre dello scrittore, morto in guerra a 29 anni e che il figlio non aveva mai conosciuto, della madre, resa sorda e quasi muta da una malattia infantile, e dell’infanzia di Albert, trasfigurato in Jacques. Vissuti in Algeria, i Camus non erano né imprenditori, né proprietari terrieri. La madre, domestica in case di ricchi, era donna dura e dolcissima, che aveva conosciuto ingiustizie e dolore. Il figlio l’amava profondamente.
Questo romanzo, dice F., sembra essere una risposta al feroce attacco che Sartre aveva scagliato qualche anno prima contro il suo ex amico Camus, accusato, dopo l’uscita del saggio L’uomo in rivolta, di varie nefandezze (idee imprecise, idee deboli e confuse, complice degli oppressori, presuntuoso, borioso benestante). Scrive l’autore de Il cuore intelligente: “Il paladino degli oppressi rimprovera aspramente a Camus di garantire la buona coscienza degli oppressori”.
Camus risponde qualche anno dopo con Il primo uomo, dimostrando di non voler più essere ostaggio della logica oppressi e oppressori: vuole essere militante della verità e vuole raccontare esseri umani di carne e sangue, che hanno vissuto e sofferto, pur essendo, per via della loro origine, della stessa razza degli oppressori.
“Camus ne Il primo uomo corre in aiuto di quanti il senso della storia ha trascurato, ha dimenticato, sacrificato (…) A queste umili vite silenziose, che la divisione del mondo tra oppressori e oppressi disprezza e condanna all’oblio, Camus offre pietoso ricovero nella propria opera. Fa udire la flebile voce di chi è stato cancellato, riporta alla luce le esistenze che la schematica visione improntata allo scontro finale ha eliminato”.
In questo dare voce, la letteratura può rendere un cuore elastico, che lascia entrare in sé, tramite la lettura, nuove verità. Una pasta così appetitosa non capita tutti i giorni; e inutile dire che ho scovato Il primo uomo e lo sto divorando.