Il grande pubblico ormai lo sa, le fatiche degli autori televisivi sono sempre appesantite dalla domanda del giorno dopo: “Quanto ascolto abbiamo fatto?”

L’Auditel, ricordo quando lo diceva Santoro ed era uno dei maestri di come si fa televisione, è una forza democratica, perché misura il reale interesse delle persone per qualcosa. Ma il grande pubblico sa meno che l’ascolto viene vivisezionato, per capire chi ti guarda: più donne o più uomini? Ricchi o poveri? Gente del nord o del sud? Laureati o persone con la quinta elementare?

Quando sabato ho visto a tutta pagina sull’edizione cartacea del Fatto il grande ritratto di Michele Santoro, circondato da un florilegio di dati sulle prime puntate di Servizio Pubblico del 2011, mi è preso lo sconforto. Non ci volevo credere, sul serio. Man mano che leggevo i dati e i commenti pubblicizzati da “Mediaitalia” sbigottivo.

Come può Santoro mettere la sua fiera faccia soddisfatta su frasi così?

Eccole:

“Il profilo d’ascolto TV di Servizio Pubblico è migliorato rispetto ad Annozero”. In che senso è migliorato? Leggo: “Il pubblico è più maschile, + 3,4% rispetto ad Annozero”. Più maschile, dunque migliore!?! Ma siamo matti? “Il pubblico è di più elevata istruzione + 8,4% rispetto ad Annozero”. Cosa? Chi ha studiato di più vale di più? “Il pubblico è di più elevata classe socio-economica, + 13% rispetto ad Annozero”. Dunque, chi è più ricco vale di più?

Insomma il pubblico è migliore e ce ne facciamo un vanto, se è maschio, laureato e ricco? Insomma, noi che facciamo programmi che raccontano l’Italia vera che Vespa non fa vedere, mostriamo i poveracci che non arrivano a fine mese strangolati da Monti e dalla crisi, però siamo orgogliosi che non siano loro a guardarci, ma quelli che la crisi la sentono di certo meno, i ricchi maschi dall’eloquio forbito? Gli straccioni sullo schermo, i ricchi davanti allo schermo?

Tralascio altri dati più neutri e spiego perché c’è un’ambiguità di fondo nel ragionamento, e basterebbe renderla trasparente senza ipocrisie per non rischiare, con campagne di comunicazione del genere, di sembrare classisti verso le categorie di italiani più sfortunati di noi, che per ora abbiamo un lavoro ben pagato.

Non cerco un facile moralismo, anche perché sono un autore di Piazzapulita, e dunque in questi mesi, speriamo non per sempre, sono concorrente diretto di Servizio Pubblico. E’ noto che i pubblicitari preferiscano i maschi, i ricchi, quelli che hanno studiato. Sono loro infatti i big spender, cioè quelli che spendono e dunque comprano i prodotti pubblicizzati dentro le trasmissioni. Niente di male, con la pubblicità ci campiamo, sia noi che Santoro. Come direbbe Vauro, bisogna essere consapevoli dei propri limiti, fratelli peccatori!

Quello che reputo un brutto scivolone, e che se fosse successo a mia insaputa riparerei subito in qualche modo, è rivendicare con la propria faccia quello che i pubblicitari rivendicano come un merito del programma: rivolgersi “di più” ai maschi, ai ricchi. Che la pubblicità sia un po’ classista, insomma ci sta. Non possiamo pretendere che chi venda gioielli voglia rivolgersi al giovane senza lavoro. Per noi autori televisivi, però, la logica è diversa. Noi non vendiamo gioielli a persone con il portafoglio gonfio. Noi vogliamo rivolgerci a quanta più gente possibile. Soprattutto se facciamo un programma di informazione, un programma politico. Il nostro sogno è essere sul canale che fa più ascolto, è dire quello che riteniamo importante a più telespettatori possibili, no? Se vogliamo parlare alle élite, ci sono altri luoghi e altri mezzi.

Come facciamo a essere orgogliosi del fatto che ci guardano meno le donne italiane sempre più disoccupate, che non hanno soldi per consumare, o quelli che non sono laureati, che magari hanno addirittura la quinta elementare? Siamo fieri che non ci guardino o dovremmo essere tristi e quindi avere un sentimento contrario a quello dei pubblicitari? Non è classismo questo? Non è qualcosa di cui dispiacersi invece che andarne fieri? Perdere ascolti significa perdere persone, e niente può ripagarci, nemmeno la soddisfazione di essere seguiti da una dorata nicchia di big spender.

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