La Grecia è salva, almeno per ora. Tuttora condizionata dalla spada di Damocle di una recessione che rischia di complicare il piano stesso di salvataggio in una prospettiva di medio-lungo periodo, Atene centra l’obiettivo della vigilia. Dopo quasi 14 ore di negoziato, l’Europa ha infatti concesso il nulla osta al maxi prestito da 130 miliardi che dovrebbe garantire la sopravvivenza del Paese e dell’integrità stessa dell’eurozona. Un piano necessario e inderogabile, come si era capito ormai da mesi. Un piano doloroso, come evidenzia il contenuto stesso dello “scambio” che impone alla Grecia non solo un pesante programma di austerity ma anche, di fatto, una palese cessione di sovranità.

E sì, perché quello approvato nella notte è di fatto un commissariamento senza precedenti: la Grecia riceverà in effetti tutti e 130 i miliardi previsti ma la loro gestione sarà monitorata come non mai. Ad Atene si insedierà infatti una rappresentanza permanente della troika, con Ue, Bce e Fmi pronti a tenere il fiato sul collo dell’attuale e del prossimo governo greco condizionandone le scelte nella politica economica. Viene così accolta la richiesta avanzata apertamente dall’Olanda con il sostegno di Austria, Finlandia e Germania, i Paesi più scettici in merito all’affidabilità ellenica.

L’altro aspetto significativo è l’aumento della partecipazione dei privati alla ristrutturazione del debito greco. Ieri si era ampiamente capito che Papademos avrebbe dovuto ampliare i propri margini di manovra per ottenere un risultato più soddisfacente. E alla fine, dopo una lunga trattativa, la promessa è stata mantenuta. Il taglio del valore nominale dei titoli in possesso degli investitori passa dal 50 al 53,5%, il che equivale a una perdita effettiva non più del 70 bensì del 75%. Tradotto, i creditori perdono 3/4 della cifra e le casse di Atene vedono il debito ridursi di 107 miliardi. L’accordo non è ancora stato raggiunto ma ormai è questione di tempo. Tanto più che i privati sanno di non avere scelta.

Da parte sua, in realtà, a fare la sua parte saranno anche gli istituti centrali europei. A loro saranno girati i profitti dello swap realizzato in questi giorni dalla Bce scambiando i titoli acquistati da Atene con obbligazioni equivalenti ma non soggette ad haircut. In sostanza 50 miliardi di valore nominale in cambio di bond acquistati sul mercato secondario per 38 miliardi circa. Di fatto, quindi, 12 miliardi di profitto netto che saranno ora convogliati alle banche centrali del Continente che li gireranno in seguito alla Grecia. Le stesse banche, inoltre, hanno accettato di ridurre in modo retroattivo gli interessi sui prestiti concessi ad Atene nel 2010. La Grecia risparmierà quindi 1,4 miliardi di euro, equivalenti a una riduzione debitoria del 2,8%.

Gli interrogativi sul futuro della Grecia restano comunque aperti. Troppo forte, per il momento, la recessione in atto, troppo deboli, per ora, le prospettive di recupero. Ieri sera, con i colloqui ancora in corso, la Reuters ha pubblicato in esclusiva i contenuti di un rapporto interno a cura della troika in cui si sollevano dubbi sull’effettiva capacità di Atene di conseguire il proprio obiettivo di stabilità che prevede il raggiungimento di un rapporto debito/Pil attorno a quota 120% entro i prossimi 8 anni. L’ipotesi è che la famosa “internal devaluation”, la riduzione dei salari realizzata per stimolare le proprie esportazioni quando non si ha una moneta propria da svalutare, possa produrre effetti complessivamente negativi spingendo al rialzo il divario tra la ricchezza prodotta e l’indebitamento. In pratica, nel’ipotesi peggiore, il costo del salvataggio greco aumenterebbe ancora fino a raggiungere quota 245 miliardi. Certo, si tratta di un’ipotesi avanzata prima dell’accordo odierno. Ma tanto basta per impedire ai greci di sentirsi pienamente al sicuro.

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