In occasione dell’Evolution Day, che si è tenuto a Milano dal 10 al 12 febbraio, abbiamo intervistato uno dei relatori: Ilkka Hanski, professore di Zoologia all’Università di Helsinki, ossia uno dei più prestigiosi e premiati scienziati finlandesi. I suoi annosi studi hanno affermato uno dei concetti fondamentali nell’ecologia degli ultimi anni, la “metapopolazione”. Tale concetto ha indicato i meccanismi alla base dell’estinzione e sopravvivenza di diverse piccole comunità di una medesima specie, che oggi sono sparse in habitat frammentati. La perdita e la frammentazione degli habitat naturali sono le principali cause della perdita di biodiversità.

Prof.Hanski, le piante sono le protagoniste del convegno di quest’anno e, da sempre, sono le protagoniste misconosciute degli studi evoluzionistici, a cominciare da Darwin. Quanto è importante la biodiversità delle piante?

La biodiversità vegetale è il fondamento dei nostri ecosistemi: assicura la qualità dell’aria e dell’acqua, la fertilità dei suoli, previene i disastri idrogeologici e permette la ricchezza della nostra alimentazione. E specie in un paese come l’Italia, dove la biodiversità vegetale è massima. Peraltro la biodiversità delle piante, ossia la composizione e la robustezza delle comunità vegetali, è la parte critica della biodiversità globale. Essa sta diminuendo rapidamente a tutti i livelli: a livello di popolazioni, di habitat, a livello genetico. Le piante coltivate stanno perdendo diversità genetica, il che può avere conseguenze terribili per la produzione del cibo in futuro. Ma anche gli animali stanno subendo la perdita di diversità. Solo le specie invasive, piante e animali, si sono adattate all’ambiente che l’uomo ha trasformato. Mentre non poche specie native stanno scomparendo. Questi cambiamenti influiranno su tutto l’ecosistema, e molti saranno negativi per gli uomini. La rapida diminuzione della biodiversità è molto più importante di quanto è oggi stimata. È ad esempio una delle cause principali dell’aumento di affezioni infiammatorie, quali allergie e asma e malattie autoimmuni, nei centri urbani.

Considerando la biodiversità, di questi tempi, non si può non considerare gli Ogm. Che ne pensa lei delle piante geneticamente modificate? Stanno influendo sulla biodiversità e in che modo, impoverendola o arricchendola con varietà più resistenti?

Le piante GM mi preoccupano seriamente. E non tanto perché le varietà oggi in uso siano pericolose per gli uomini o l’ambiente. Ma perché in futuro, con le biotecnologie avanzate, sarà sempre più possibile produrre piante (e animali) modificati geneticamente. E in modo ancora più drastico. Abbiamo e avremo la possibilità di produrre varietà geneticamente modificate che siano dannose per l’uomo e l’ambiente. Chi porrà la linea di demarcazione fra gli Ogm che si possono e non si possono usare? L’industria del settore è spinta da ciò che spinge tutte le altre industrie, cioè la massimizzazione del profitto.

Ma insomma lei crede alle misure di coesistenza, in aree limitrofe, fra piante geneticamente modificate e non? Pensa che le prime stiano contaminando le seconde?

Non c’è alcun dubbio che avviene uno scambio fra le piante GM e le loro parenti indigene (non GM). Non è del tutto possibile impedire questo scambio. Le piante si stanno comunque estinguendo più velocemente degli animali.

Lei parla di estinzione ora, cosa intende esattamente?

Quello a cui andiamo incontro con la perdita della biodiversità. Che è legata anche al cambiamento climatico globale e al sovrasfruttamento delle risorse negli oceani. Per definizione, un’estinzione di massa è quella in cui si estinguono oltre il 50% delle specie. Noi ci stiamo andiamo incontro, grazie al nostro operato. Ciò potrebbe verificarsi in un qualche centinaio di anni, o forse meno. La differenza fra questa sesta estinzione di massa e le altre cinque precedenti, è questa è l’unica causata dall’uomo. Ma ci sono anche delle similitudini: ad esempio la peggiore estinzione di massa, alla fine del Permiano, cioè 250 milioni di anni fa, era associata a un rapido cambiamento del clima. Noi uomini abbiamo avviato un cambiamento climatico che rischia di essere totalmente fuori dal nostro controllo, portandoci nel peggiore dei casi a quello che accadde alla fine del Permiano. Ma questo è lo scenario peggiore.

Da quando è in atto quella che lei definisce un’estinzione di massa?

L’estinzione di massa attuale è iniziata alcune decine di milioni di anni fa, con la scomparsa della megafauna in vari continenti, e ciò è legato all’uomo, per quanto gli scienziati stiano ancora discutendo quali siano i meccanismi di causa-effetto. Vede, alcune classi di piante e di animali sono particolarmente vulnerabili, come è già visibile agli occhi di tutti, ma alla fine tutte le classi di piante e animali saranno colpite. Ad oggi il tasso di estinzione è circa l’1% delle specie in un arco di 100 anni, ma sta aumentando. Ed è stato calcolato che il tasso raggiungerà circa il 10-20% delle specie estinte nell’arco di 100 anni, alla fine di questo secolo.

Numeri impressionanti, che possiamo fare per arrestare questa catastrofe?

No, non è troppo tardi. Ma non possiamo più esitare. Ci dobbiamo mettere in testa che la biodiversità è fondamentale per il benessere globale a lungo termine. Dunque la preservazione della biodiversità deve essere una parte fondamentale delle nostre attività. Ad esempio nelle città: oggigiorno c’è un grande interesse nello sviluppo di “infrastrutture verdi” nei centri urbani. Bene. Ma allo stesso tempo dobbiamo preservare l’habitat naturale che è rimasto.

Ci riusciremo? Lei che si aspetta dal futuro?

Beh, io penso che la gente cambierà atteggiamento, e le tematiche ambientali, biodiversità inclusa, diverranno molto più importanti nei programmi della politica. Ad ogni modo ci vorrà del tempo, e sono certo che nel frattempo ci saranno molte perdite ambientali. Forse non ci saranno cambiamenti seri prima che una serie di catastrofi ambientali si abbattano su diversi paesi.

Dunque le piante, che hanno plasmato la biosfera nel tempo dell’evoluzione, saranno anche il nostro futuro?

Sì. E aggiungo che la popolazione umana dovrà anche nutrirsi di più “piante”, adottando una dieta più vegetariana di quella attuale, per riuscire a sfamare tutti. È l’unica soluzione.

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