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Farnesina, il sindacato dei diplomatici incontra Terzi: “Tagli gravi per l’Italia”

Il capo della diplomazia italiana non ha nascosto che "il momento è sicuramente difficile", ma ha "assicurato" il suo "impegno totale" per fronteggiare il "grave problema dei finanziamenti". Uno degli aspetti su cui puntare per mantenere la funzionalità della struttura, ha sottolineato, è quello della "riqualificazione della spesa", anche razionalizzando le sedi all’estero, puntando a una maggiore efficienza

Su poco meno di un migliaio di diplomatici, tante sono le feluche della Farnesina, 630 fanno parte del Sndmae, il sindacato di categoria della diplomazia al ministero degli Esteri. Casta nella casta per alcuni, espressione ultra corporativa per altri, baluardo di sani principi per i suoi aderenti, il Sndmae (impronunciabile acronimo che sta per Sindacato nazionale dipendenti del ministero degli Affari Esteri o “Mae”) ha oggi un nuovo segretario, Enrico De Agostini, che ha tutta l’aria di uno che non le manda a dire. Questa mattina, all’Assemblea annuale dei membri del sindacato, che contende alla Cgil il primato degli iscritti al ministero (la Cgil ne conta pochi tra le feluche ma molti tra il personale), De Agostini se l’è vista direttamente col ministro in carica. Che la congiuntura vuole sia praticamente un suo pari grado. Un diplomatico, benché più avanti nel cursus honorum, fino a ieri in servizio e oggi ministro protempore nello stesso dicastero dove, sino a tre mesi fa, era soltanto un ambasciatore come tanti.

Il ministro Giulio Terzi si è trovato così a incarnare una strana anomalia (a essere onesti – visto che il sindacato esiste dal 1944 – è la terza volta che succede: con Renato Ruggiero negli Ottanta e Carlo Sforza a fine Quaranta): essere praticamente il ministro di se stesso e per di più, Terzi se n’è accorto in Assemblea, un “tesserato” del sindacato con cui si deve confrontare (ovviamente recederà quanto prima). Di dossier sul tavolo ce ce sono diversi. Uno riguarda i trattamenti economici di una categoria privilegiata che, come tutte le categorie privilegiate, fa fatica a digerire il taglio dei privilegi o a considerarli tali (al tema Il Fatto Quotidiano ha dedicato un servizio) ma molti altri contenziosi riguardano il ruolo che il ministero deve avere e come sarà, qualitativamente e operativamente, il diplomatico del futuro.

Offese da come buona parte della stampa ha trattato, senza distinzioni, il corpo diplomatico dopo il caso Vattani-Casa Pound (l’ambasciatore presso la Santa Sede Francesco Greco non ha avuto remore a citare alcuni pezzi caustici di Repubblica), le feluche rappresentate da De Agostini non se la sentono di passare per i formali e silenti maggiordomi di governi che, negli ultimi anni, hanno ridotto il bilancio del ministero a uno “stato disastroso effetto di tagli rovinosi” con una riduzione di bilancio di quasi 5 punti percentuali. Al punto che, spiega De Agostini, “il ‘core business’ del ministero, ossia le missioni all’estero, sono ormai state ridotte della metà”. Con scelte molto opinabili: “L’Italia è costretta a disertare riunioni importanti a Bruxelles o a New York ma si sono spesi 6,5 milioni di euro per l’esposizione internazionale di Yeosu (Expo 2012 in Corea) o per la nostra partecipazione alla fiera orticola di Venlo, in Olanda. Mi chiedo il senso di quei sei milioni a fronte di appena un milione destinato alle missioni della diplomazia italiana, tenuto conto che l’80% lo utilizzano i vertici (ministro, sottosegretari) e solo 200mila euro i funzionari in trasferta. Che oggi viaggiano anche low cost anticipando di tasca propria”.

Nella sua relazione al ministro e ai membri, De Agostini ha fatto riferimento anche alle zone d’ombra (clientele e gruppi di pressione) che completano il quadro, chiedendo a Terzi un’operazione “trasparenza” sulle nomine (gli “incarichi romani”), non sempre con incarichi affidati al più competente. Il Sndmae chiede a Terzi anche un “piano industriale” chiaro sugli investimenti: sull’eccesso di istituti di cultura, sulla confusa dicotomia creatasi col nuovo dicastero della Cooperazione affidato a Riccardi (mentre il governo ha appena tagliato alla Cooperazione del Mae circa 7 milioni di euro da destinare al piano carceri), sui risparmi da fare nella rete consolare: “Che senso ha – si si è chiesto De Agostini – mantenere un consolato a San Gallo e decidere invece che in Turkmenistan non ci vuole una sede diplomatica italiana?”

Terzi ha incassato. Non può non essere attento alle rimostranze dei “suoi”, ma deve applicare l’austero rigore del governo anche alle stanze della “Casa” dei diplomatici sul Lungotevere. Dà atto che alla Farnesina “c’è una grande squadra all’altezza del suo compito” e che cercherà di far fronte alla riduzione della “massa critica” della rete consolare all’estero “intesa come servizio ai cittadini e promozione del Paese”. Dice che eviterà il “disinvestimento” e promette maggior attenzione alla formazione, ai giovani e alle donne. “Negli ultimi concorsi un terzo dei vincitori sono donne e 69 donne hanno oggi nel ministero incarichi di rango”. Insomma la “fine del panciotto” (per citare una delle tante infelici frasi di Berlusconi che, da ministro degli Esteri a interim, voleva fare dei diplomatici degli audaci piazzisti porta a porta) non è dietro l’angolo, nel senso che l’Italia non rinuncerà ai diplomatici. Qualcosa però dovrà cambiare, il negoziato è aperto. Ma forse, questa volta, i diplomatici possono giocare in “Casa”.

Emanuele Giordana