Il governo greco starebbe ipotizzando il rinvio delle prossime elezioni legislative in programma ad aprile posticipandole a data da destinarsi. Lo ha lasciato intendere il ministro dell’Ambiente, ed ex ministro delle finanze del governo Papandreou, Giorgos Papakonstantinou in un’intervista al settimanale tedesco di Zeit. Il colloquio, che sarà pubblicato domani, è stato anticipato dall’edizione online del settimanale. “Sarebbe bene che il governo di Lucas Papademos si prendesse più tempo, la gente ha bisogno di accorgersi che qualcosa cambierà”, ha dichiarato.
Le affermazioni di Papakonstantinou rappresentano un implicito avvicinamento alle richieste della Germania. Sebbene Angela Merkel non abbia voluto esprimersi sul tema, resta noto il timore di Berlino in merito alle possibili reazioni avverse dei mercati e alle complicazioni sull’attuazione del piano di salvataggio in seguito a un cambio di governo. Nel giorno del sofferto voto sulle misure di austerity richieste, il leader conservatore Antonis Samaras, secondo i sondaggi probabile vincitore della prossima tornata elettorale, aveva pubblicamente dichiarato la sua intenzione di rinegoziare la politica economica del suo Paese chiedendone una revisione alla troika. Parole che avevano indotto l’eurogruppo a posticipare la riunione tenendo ancor di più sulle spine la Grecia. Nei giorni scorsi, il ministro delle finanze di Berlino Wolfgang Schaeuble aveva addirittura auspicato un rinvio delle elezioni.
Dal governo greco, per ora, non giunge alcun commento. Difficile, in ogni caso, interpretare il reale significato di queste dichiarazioni. Da un lato, come detto, la probabile vittoria dei conservatori di Nea Demokratia e le pessime prospettive del Pasok rappresentano, per i socialisti, un valido incentivo per cercare un disperato rinvio elettorale. Dall’altro lato, ovviamente, non è affatto da escludere che lo stesso esecutivo di Lucas Papademos si sia trovato a subire gli effetti della pressione internazionale della troika, certamente d’accordo con l’ipotesi di uno slittamento delle elezioni.
I rumors sul rinvio potrebbero contribuire in ogni caso a portare un po’ di ottimismo alla prossima riunione del G20 in programma il 25 e 26 febbraio a Città del Messico in cui la questione greca sarà assoluta protagonista. In sintesi: il Fmi non intende incrementare il proprio impegno sulla Grecia senza una cospicua espansione del fondo di salvataggio europeo capace di scongiurare l’effetto contagio. Ad oggi, quest’ultimo ammonta a circa 250 miliardi di euro ma, secondo molti, dovrebbe essere praticamente triplicato. La soluzione, per altro, è già stata pensata: fondere insieme il vecchio European Financial Stability Facility con il nuovo European Stability Mechanism (ESM) che, secondo i piani, dovrebbe valere sui 500 miliardi di euro. E’ la consolidata “dottrina Rehn”, quell’ipotesi tuttora sostenuta da commissario agli affari monetari Ue che pure non convince la Germania.
Lo scorso 20 dicembre, l’Europa ha approvato il piano di aumento delle proprie risorse di emergenza presso il Fmi. Un esborso da 150 miliardi di euro (ma si è parlato per il futuro anche di 200 o 250) che coinvolge soprattutto la Germania (con 41,5 miliardi), la Francia (31,4) e l’Italia (23,4). Ma a questo sforzo – oltre ai già esclusi Portogallo, Grecia e Irlanda – non parteciperà la Gran Bretagna che, pur avendo sostenuto la necessità di un incremento del fondo salva Stati europeo, non ha voluto sbloccare i 30 miliardi richiesti. Lo stesso organismo internazionale, ricorda oggi la Reuters, punterebbe ora raddoppiare i propri capitali accumulando circa 600 miliardi di dollari aggiuntivi. Ma questa operazione è resa molto difficile dal rifiuto del suo principale contribuente: gli Stati Uniti.
In questo contesto, tanto per cambiare, a correre i maggiori rischi è soprattutto la Grecia. E non solo per i noti malumore del Fmi, anch’esso impegnato nel piano di salvataggio delle finanze di Atene. Un crescente numero di analisti, compresi quelli mobilitati dalla troika, non crede più all’ipotesi del pieno funzionamento del programma da 130 miliardi faticosamente approvato l’altro ieri. Insomma, di fronte alla recessione in atto, l’idea che la tendenza possa invertirsi nello spazio di uno o due anni permettendo alla Grecia di riportare il debito verso quota 120% del Pil è stata ormai scartata. Solo che qui non si parla di un obiettivo mancato di qualche punto percentuale, bensì di un disastro totale che impedisca di fatto al gap tra ricchezza prodotta e debito pubblico di ridursi in modo significativo rispetto al livello attuale. In breve, per evitare un default greco nel medio-lungo periodo occorrerà mettere in gioco altri soldi. E tutti, Ue e Fmi compresi, dovranno fare la loro parte.