“Oriundi? Se hanno la cittadinanza italiana e giocano benissimo, non vedo perché io non debba convocarli”. E’ il primo luglio 2010, Cesare Prandelli riceve le chiavi della nazionale di calcio e dice la sua sul tema che da sempre divide gli sportivi (e non solo) di casa nostra. La domanda non cambia: chi è nato altrove e ha cominciato a muovere i primi passi nel professionismo in un altro Paese può avere accesso alle rappresentative in maglia azzurra? Il ct dell’Italia ha dimostrato di avere le idee chiare in proposito. Nel corso della sua gestione ha fin qui convocato Amauri, Ledesma, Thiago Motta e Osvaldo. Ma presto potrebbe fare felice anche Matias Augustin Silvestre, difensore centrale attualmente in forza al Palermo, ma nato in Argentina e cresciuto nel Boca Juniors. Lui, Silvestre, dice di non vedere l’ora di iniziare la nuova avventura con la casacca dell’Italia. Ma già infuria la polemica: “Se entra lui, esce un italiano” dicono alcuni. Come se Silvestre non lo fosse, un italiano.
Prandelli non è il primo selezionatore della nazionale ad aprire le porte agli oriundi. Prima di lui lo hanno fatto in diversi. A cominciare da Vittorio Pozzo, due volte campione del mondo nel 1934 e nel 1938. Qualche nome? Tre su tutti. Michele Andreolo, uruguaiano, 26 presenze e 1 rete con la maglia azzurra; Raimundo Orsi, argentino, 35 presenze e 13 gol; Luis Monti, argentino, 18 volte in campo con l’Italia, 1 gol. La storia dell’Italia del calcio passa anche attraverso i nomi di coloro che, pure se nati all’estero, hanno contribuito in modo più o meno importante ai successi della nostra Nazionale. Cosa dire di fuoriclasse come Sivori, Altafini, Libonatti, Sormani o, giusto per tornare al recente passato, Camoranesi. Giusto o no convocarli, dentro o fuori?
Il calcio non è l’unico sport che ha dato il via all’ingresso di oriundi in nazionale. Il calcio a 5, ad esempio, ha fatto di questa opportunità una consuetudine da rinnovare di anno in anno, di competizione in competizione. Tanto per dirne una. Nel 2008, l’allora ct Nuccorini convocò per i mondiali in Brasile una rosa composta interamente da calciatori nati nel paese sudamericano. Proprio così, nemmeno un giocatore tra loro era nato in Italia. Ma tutti, si intende, avevano il doppio passaporto. L’idea non deve essere piaciuta troppo al Coni, che infatti chiese poco dopo un giro di vite che limitasse in qualche modo l’utilizzo degli oriundi. Quattro anni dopo, ecco il risultato dell’intervento. Agli Europei che si sono conclusi qualche giorno fa, l’Italia poteva contare su 7 giocatori su 14 nati al di fuori dei nostri confini. Per la cronaca, la squadra allenata da Roberto Menichelli si è classificata al terzo posto.
Dal calcio al rugby. Tra i giocatori convocati dal nuovo ct Jacques Brunel per il Sei Nazioni 2012, figurano 9 oriundi o, come sono stati definiti dagli addetti ai lavori, ‘equiparati’. La differenza sta tutta nel passaporto. Gli oriundi ne hanno almeno due, compreso quello italiano. Gli equiparati no o non necessariamente. La Federugby chiama così i giocatori che hanno ‘prestato servizio’ in Italia per almeno tre anni di seguito. Un modo come un altro per permettere a validi rinforzi di indossare la maglia azzurra e portare in alto il nome della nazionale. Un nome che renda l’idea: Robert Barbieri. E’ nato a Toronto, in Canada. Ma ha raggiunto Parma nel 2003. Da allora, sempre Italia. Anche in nazionale, pur non vantando discendenze nostrane.
Le cose non vanno diversamente nell’hockey su ghiaccio e nel baseball. Ai recenti Mondiali di Budapest, la rappresentativa azzurra sui pattini ha presentato 7 oriundi sui 20 giocatori a disposizione. Italia prima nella divisione di accesso ai mondiali dei migliori che si disputeranno quest’anno: non accadeva da tempo. Per lo sport del batti e corri, un’altra tradizione che si ripropone ad ogni occasione. Ancora mondiali, targati però 2011: una nazionale infarcita di oriundi – almeno la metà dell’intera rosa a disposizione – si classifica all’undicesimo posto nella graduatoria finale. Dicono che senza di loro, i giocatori dal doppio passaporto, l’Italia avrebbe fatto una figuraccia. Possibile, anzi, probabile. Ma la tesi non convince tutti. Soprattutto coloro che pensano che sia meglio arrivare ultimi con le proprie gambe, piuttosto che primi (o tra i primi) con l’importante collaborazione degli oriundi.