Il Secolo XIX pubblica nuove rivelazioni sul potente tesoriere del Carroccio e ripercorre la sua ascesa attraverso le società in cui l'ex sottosegretario è riuscito a costruirsi un tesoretto di due miliardi di vecchie lire
Crac, assegni falsi, amici ammanicati alla prima Repubblica poi ridotti sul lastrico, una serie di acrobazie finanziarie che avrebbero permesso a Francesco Belsito di costruirsi un tesoretto da almeno due miliardi di vecchie lire ed entrare così nella prima linea Padana grazie a campagne elettorali ben finanziate. Il Secolo XIX continua la sua inchiesta sul potente tesoriere della Lega Nord finito alla ribalta per aver investito i fondi del Carroccio a Cipro e in Tanzania. Oggi il quotidiano di Genova torna sulla vicenda e, documenti alla mano, ripercorre un ottovolante di miliardi, avvisi di garanzia, crac, affari immobiliari e alleanze a dir poco avventurose. L’antefatto della sua storia politica, scrive Il Secolo XIX, sempre in simbiosi con un fiume di soldi.
Secondo la ricostruzione del quotidiano ligure, per orientarsi nell’ascesa di Belsito si deve partire dal caso di una azienda creata a Genova: la cooperativa servizi tecnologici Liguria, una srl dichiarata fallita nel novembre 2000. Belsito siete nel consiglio di amministrazione dall’ottobre 1998 al luglio 1999. Con lui entra Ermanno Pleba. Un personaggio da appuntare, sottoliena il Secolo: “Ex fedelissimo della Democrazia Cristiana piazzato in varie società semipubbliche fino agli anni ’90, racconta oggi di aver perso un miliardo e quattro appartamenti per colpa dello stesso Belsito. Di cui è stato compagno di business, sponsor e finanziatore indefesso al limite del patologico”.
Belsito diventa “amministratore della Cost”. Il perito che segue il fallimento nella relazione scrive di aver “potuto accertare l’emissione non giustificata di assegni, cambiali ed effetti ai signori Pleba e Belsito, già amministratori della fallita cooperativa Cost service srl”. Da dove spunta la Cost service? Sarebbe, secondo Il Secolo, una matrioska su scala ridotta della Cost Liguria, che doveva fare da intermediario e fallì. E Pleba al quotidiano racconta: “Io nella Cost Service misi tutti i soldi, mezzo miliardo di lire portati in valigette. E li persi. Belsito è sempre stato bravissimo a giocare con i contanti degli altri”, dice.
Intanto Belsito negli anni fa carriera. Le indagini per bancarotta e fatture false che lo coinvolgono si trascinano da un pm all’altro. Ma il perito ribadisce “l’emissione non giustificata di assegni e cambiali a suo favore”. E quantifica: “Per un importo di lire 625 milioni 36 mila e 500 lire”. Non solo: “Per Belsito sono stati raccolti assegni firmati dallo stesso a nome della cooperativa per spese non giustificate, e assegni non intestati e firmati a nome di Varanzi con firma, a dire di quest’ultimo, falsificata”. Varanzi sintetizzerà in 700 milioni il suo “credito” nei confronti dell’ex sottosegretario.
La ricostruzione del Secolo XIX è dettagliatissima. Due crac ravvicinati e l’addebito, da parte del curatore fallimentare, di essersi intascato centinaia di milioni di vecchie lire intestandosi indebitamente assegni, oltre ad aver abusato delle carte di credito per fare la bella vita. Ci sono poi, riporta il quotidiano genovese, una serie di misteriosi contatti con Montecarlo e il Lussemburgo, prima di diventare tesoriere della Lega e sottosegretario nell’ultimo governo Berlusconi. Molti suoi soci in affari sono stati arrestati o condannati per truffe o reati finanziari. L’articolo si chiude con un “continua” che promette nuove rilevazioni nei prossimi giorni sul potente tesoriere del Carroccio, vicino al Cerchio Magico di Marco Reguzzoni, asceso in pochi anni nel partito e ora sotto inchiesta interna per i fondi inviati in Tanzania che hanno provocato un’inasprirsi dello scontro tra Roberto Maroni e i suoi Barbari Sognanti verso i “cerchisti” di osservanza ortodossa bossiana.