Cronaca

Un odio che sa di muffa

Quel che sta accadendo a Gian Carlo Caselli interroga le viltà, i tartufismi e il periclitante senso della legalità del Paese. Ma prima di tutto la sua memoria. Il movimento No Tav è giovane, ha un’anima vitale e forti elementi di originalità. Ma la campagna contro il procuratore capo di Torino, per chiunque conosca qualcosa della nostra storia nazionale, sa terribilmente di muffa. Muffa velenosa.

Nella indubbia diversità dei contesti sociali e culturali riporta a galla qualcosa di fradicio, che rinvia ad altri tempi. Non siamo in presenza infatti di un atteggiamento critico nei confronti del magistrato al quale si imputino (come sarebbe legittimo) scelte sbagliate. Tanto più che ogni magistrato italiano sa in partenza che, specie in certi processi, il suo operato è sottoposto a contestazioni, attacchi, denigrazioni sistematiche e interessate. Qui si va oltre. Qui il magistrato diventa il bersaglio di minacce truculente, di avvertimenti omicidi, fino a impedirgli di rispettare i suoi impegni pubblici. Contro di lui si scrivono e si ritmano slogan che lo indicano ossessivamente come il Nemico da abbattere. Roba alla Calabresi, per chi ha vissuto quegli anni e resta incredulo davanti al dispiegarsi di tanta violenza verbale e di tanto accanimento organizzato. C’è da chiedersi perché sia lui e solo lui il bersaglio, anche se sono ormai quasi una ventina i magistrati che si sono occupati delle violenze in Val di Susa, giungendo ai suoi stessi risultati.

Perché gli venga appioppato sui muri l’appellativo di “mafioso” e venga diffusa tra i più giovani una narrazione della sua vita totalmente bugiarda: come del giudice che se l’è presa con i piccoli boss della mafia, ma non ha mai voluto colpire i livelli alti delle complicità tra Cosa Nostra e Stato. La muffa, appunto. Ancora una volta, in mezzo ai giovani dei movimenti e ai cittadini indignati, rispuntano vecchie cariatidi della violenza, nostalgici della lotta armata e dintorni, che con il Caselli dell’antiterrorismo qualche conto da regolare ce l’hanno. E che, per meglio farne il procuratore maledetto, proprio non vogliono lasciargli l’aura del giudice antimafia.

Del procuratore che ha sfidato il livello più alto delle complicità tra mafia e politica e che per questo è diventato l’unico magistrato contro il quale, anche sfidando il presidente della Repubblica, è stata fatta appositamente una legge per impedirgli di guidare la Procura nazionale. Le vecchie cariatidi non danno ordini, ma soffiano sul fuoco, arrivano alle manifestazioni rivoluzionarie freschi di sostegni al Berlusconi perseguitato dai giudici, come loro. Ed ecco che torna lo Stato antropomorfo, l’uomo che simboleggia tutto, il Male personificato, come ai loro tempi. E l’idea che applicare la legge sia fare politica. Perché Berlusconi non si processa. E non si doveva processare la rivoluzione. E non si processa il movimento No Tav. Che infatti non viene processato. Non c’è nessun reato associativo contestato. Ma in un Paese civile i reati sono reati. E non si può chiedere a un procuratore di voltarsi dall’altra parte o di fare valutazioni politiche di simpatia o antipatia politica, che è quello che alcuni magistrati vorrebbero (quanti tragici errori, anche da quella parte, negli anni Settanta …). Semmai, i reati, si dimostra di non averli commessi, e se non ci si riesce si cerca di ottenere le attenuanti per avere agito in nome di una causa di rilevante interesse sociale o ambientale.

Sono mesi che Caselli fa da parafulmine per tutti. E se certi silenzi o certe astuzie levantine richiamano le viltà di un tempo, non stupisce che chi ha odiato Caselli per avere toccato i nervi più intimi del potere ora contempli soddisfatto i famosi “estremisti” fargli quello che altri con il colletto bianco vorrebbero potersi consentire. Come ha scritto questo giornale, è una brutta deriva. Che riguarda quei cittadini democratici che non vogliono farsi privare della libertà e del diritto (sacrosanto) di ascoltare Caselli parlare o presentare un libro, che pensano di vivere in un Paese dove le idee possono circolare, senza che nessuno decreti stati d’assedio. Ma riguarda anche il movimento No Tav.

Il quale proprio nel momento in cui accumula ragioni se le vede prosciugare da un’immagine di violenza che rischia inevitabilmente di ricadere su tutti. Sia chiaro, nella democrazia gli scontri ci sono sempre stati, con i loro processi e i loro vincitori morali: da Berkeley alle manifestazioni antinucleari. Ma questa muffa d’oggi parla d’altro. I manifestanti generosi che hanno dato vita a uno dei movimenti più innovativi di questi anni sappiano o ricordino che i teorici della violenza non sono mai stati le avanguardie dei movimenti. Ne sono sempre stati la tomba. Loro e i babbioni che rifiutano di prendere le distanze dai violenti in nome dell’unità del movimento. Dagli anni Settanta ai giorni nostri. Arrivano loro e fanno il deserto.

Il Fatto Quotidiano, 23 Febbraio 2012