Il Senatùr è costretto a intervenire per fermare il sindaco uscente di Verona. Ma le parole del Capo rischiano di diventare l'ultimatum allo scontro definitivo tra cerchisti e maroniani
Il sindaco di Verona Flavio Tosi “non può fare una lista personale”. Alla fine è arrivata la voce del Capo, Umberto Bossi, per stoppare il primo cittadino scaligero. Ma la volontà del Senatùr questa volta potrebbe cadere nel vuoto. Tosi non ha alcuna intenzione di rinunciare alla sua lista. Lo ripete da un mese, da quando cioè la segreteria nazionale, guidata dal bossiano Gian Paolo Gobbo, ha emesso il verdetto: divieto categorico di liste nominali. Lui prima ha tentato la mediazione, poi ha minacciato di ritirarsi, infine è andato a In Onda a garantire che la sua lista “ci sarà”. Ricordando che “già nel 2007 presentammo una lista Tosi che ottenne il 17%”, più di quella della Lega. E concludendo: “Il punto è riuscire a vincere e la Lega da sola non raggiunge il 50%”. Al suo fianco si è schierato da subito il sindaco di Varese, Attilio Fontana, che ha definito Tosi “indispensabile” per il Carroccio, e il governatore Luca Zaia che, in un’intervista al quotidiano veronese l’Arena ha definito Tosi “Leghista vero e nostro uomo di punta”.
Caduto nel vuoto dunque il diktat della segreteria nazionale, rimasto inascoltato il monito di Roberto Calderoli (che ha anche cacciato Tosi dalla vicepresidenza del Parlamento Padano), adesso è intervenuto il Capo, Bossi. E la parola del Senatùr, per i leghisti, è legge. O almeno lo è stata fino a oggi. Perché il partito è letteralmente spaccato in due: da una parte i Barbari Sognanti, che invocano il passaggio del Carroccio nelle mani di Roberto Maroni, dall’altra i cosiddetti cerchisti, i “badanti” che hanno accerchiato Bossi manipolandolo (secondo la base) in funzione del proprio tornaconto. E dopo gli scontri in Lombardia, con il congresso di Varese finito tra contestazioni al Senatùr, il repulisti fatto in Emilia e Liguria, commissariate da Rosi Mauro, ora la battaglia arriva in Veneto. A Verona, in particolare, dove il sindaco Tosi, convinto e fedele maroniano, rischia di vincere le prossime elezioni a mani basse. Ma per gli ortodossi bossiani una sua vittoria equivarrebbe alla presa del potere da parte dei Barbari Sognanti.
La guerra interna ha ormai raggiunto l’apice, tanto che Calderoli (da sempre acerrimo nemico di Tosi) e gli altri colonnelli di via Bellerio, sono propensi a commissariare Verona fino a cacciare dal partito lo stesso Tosi. La filosofia dei talebani bossiani la riassume chiaramente Flavio Tremolada, “l’assessore sceriffo” alla sicurezza del comune di Lesmo, guidato dal cerchista Marco Desiderati. “Non mi interessa vincere le elezioni o conquistare un Comune, noi bossiani non ce ne facciamo niente: si deve ripulire il partito, anche se questo significa tornare al 2, 3 per cento”. Le parole di Tremolada lasciano intravede il commissariamento di Verona come una necessità e un plauso all’annuncio di Bossi sulla possibilità di lasciare la giunta di Roberto Formigoni in Regione Lombardia. “Prima di tutto bisogna ripulire in casa nostra”. Dovrà ricredersi dunque Maroni che lunedì scorso, durante un comizio a Parma, aveva archiviato lo scontro sulla lista di Tosi come “un film visto solo dai giornalisti”.