Da clandestini a docenti universitari. Sono tunisini, ivoriani, somali e nigeriani. Per scappare dalla fame e dalla guerra hanno attraversato il mediterraneo, rischiando la vita su carrette colme di donne e uomini fino all’inverosimile. Sono i profughi ospiti a Villa Aldini, al centro dell’Asp Poveri vergognosi e nella caserma dei Prati di Caprara, che per un giorno hanno vestito i panni dei professori dell’Università di Bologna, raccontando a un’aula piena di studenti la loro storia. Una lezione sui diritti umani, spiegati da chi li ha visti calpestare e violare, a volte a spese della propria famiglia e dei propri cari.
L’idea è nata da un gruppo di studentesse del corso di psicologia sociale dell’Alma mater, che grazie all’aiuto dell’associazione 3 Febbraio, sono riuscite a organizzare una lezione tutta dedicata alle storie dei migranti provenienti dal nord africa. Le decine di ragazzi della Facoltà di Scienze della Formazione arrivati ad ascoltare, hanno avuto così la possibilità di conoscere le difficoltà e il dramma dei profughi libici direttamente da chi li ha vissuti sulla propria pelle, senza filtri mediatici o politici. I migranti, tutti giovani con un’età compresa tra i 24 e i 30 anni, arrivati a Bologna la scorsa primavera dopo l’ondata di sbarchi, hanno raccontato il loro passato, il loro presente e soprattutto le loro ambizioni per il futuro. Jean, ad esempio, ha 23 anni, e prima di arrivare nel nostro Paese lavorava in Libia, come supervisore in una ditta di costruzione. La guerra gli ha portato via tutto: la madre, il padre e i suoi fratelli. Per questo, senza avere altra scelta è salito su una delle tante barche colme di disperati, che cercano di raggiungere le nostre coste. Lì ha visto morire donne e uomini, e conosciuto una ragazza incinta che per lo shock ha perso il suo bambino. Eric, invece, ha 25 anni e descrive il centro d’accoglienza di Lampedusa come un’inferno, dove “si vive stipati con altre 140 persone”.
Molti dei profughi accolti dalla Croce Rossa e dalla Caritas a Bologna infatti non vedono ancora un domani. Da otto mesi stanno aspettando il diritto d’asilo per motivi umanitari e ancora non sanno se potranno ricostruirsi una vita in Italia. L’associazione 3 febbraio ha fatto sapere di aver chiesto alla prefettura di accelerare i tempi. Ma il problema va oltre: spesso, nella valutazione della domanda per l’asilo, viene considerato il Paese d’origine (per esempio il Togo o la Nigeria) dello straniero e non la terra da cui è fuggito. In questo caso una Libia martoriata dalla guerra, dove molti dei ragazzi avevano lavoro e famiglia. Per questo a livello nazionale il 60% delle richieste sono state respinte. E il timore dei migranti ospitati sotto le Due torri è che le loro domani vadano ad aumentare questa percentuale.
Anche di questo si è parlato nella prima “lectio magistralis” dei profughi.”La speranza – ha commentato Michele Giammario dell’associazione 3 Febbraio – è che questa iniziativa serva a far capire alle persone il tragitto e l’esperienza di vita che hanno alle spalle questi ragazzi. E che possa servire a sensibilizzare sul diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari”.
g.z.