L’immagine tipo è quella di Ciccio Formaggio, un ometto bistrattato, con la paglietta a tre punte tagliuzzata dalla fidanzata fedifraga e dispettosa.

Sketch intramontabile, anche se Nino Taranto, il guaglione di Forcella che già a dieci anni si esibiva come tenorino nei matrimoni di quartiere col suo piccolo frac cucitogli dal nonno sarto, era molto di più che una macchietta. Un comico di razza, approdato fin dagli anni ’30 all’avanspettacolo d’autore, alla grande rivista della Wandissima e di Macario, al varietà popolare di Raffaele Viviani.

Garbato e ironico nella commedia leggera, nella sceneggiata partenopea come nel ruolo di “spalla” di Totò, diversa, per complicità e assenza di protagonismo, da quelle tradizionali, del genere Fabrizi o Peppino. Un sodalizio speciale quella col Principe, con Taranto discreto, sempre un passo indietro, al servizio della scoppiettante comicità del maestro, quasi in inconsapevole soggezione. “Totò voleva che gli dessi del tu – raccontava – ma non ci sono mai riuscito, anche dopo quarant’anni di amicizia gli davo del voi…”.

Artista e gentiluomo, Taranto se ne andrà il 23 febbraio 1986. Sulla bara scura, come ultima civetteria, la paglietta bianca di sempre.

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