Questa è una storia di incendi e malavita, di ricatti e condizionamenti della vita pubblica. Una storia che scorre nel silenzio della periferia politica milanese. Capita a Rozzano, hinterland a sud del capoluogo lombardo. E coinvolge la giunta in quota al Partito democratico, sponda penatiana, perché da lì, da quella corrente, arriva l’attuale sindaco Massimo D’Avolio che da ieri si trova senza un vicesindaco (Salvatore Rizza, Sinistra per Rozzano con deleghe al commercio e attività produttive) e con un consigliere di maggioranza in meno (Francesco Cuvello). Entrambi si sono dimessi.
Insomma, piccole beghe di quartiere all’ombra del Duomo. Eppure c’è dell’altro: un senso di impunità capace di stringere all’angolo un’amministrazione pubblica del nord. Senso diffuso che non pesca nella grande malavita organizzata. In questo caso, infatti, protagonista è un balordo di quartiere, uno spacciatore con buoni agganci nel milieu malavitoso della zona che per aprire un paio di locali da adibire a sala giochi minaccia, aggancia e condiziona la vita pubblica. La sua sponda è lo stesso Francesco Cuvello.
Per capire l’andazzo bisogna tornare al 20 luglio scorso. Poco dopo l’una di notte, quando va a fuoco “Le delizie del forno”, panetteria di Domenico Anselmo, commerciante e consigliere comunale. Al loro arrivo i carabinieri notano un’auto completamente avvolta dalle fiamme con la parte anteriore attaccata alla saracinesca del negozio. Poche settimane dopo si replica. E’ il 9 agosto e questa volta l’incendio coinvolge il chiosco di frutta e verdura di Francesco Cuvello, anche lui consigliere comunale. Colpa del racket? L’ipotesi inizia a girare. Di certo c’è che si tratta di “azioni organizzate nei dettagli e non certo dell’opera di improvvisati piromani”. Il caso approda sul tavolo della Direzione distrettuale antimafia. Indagano i carabinieri. Nel frattempo qualcuno soffia l’ipotesi del coinvolgimento della ‘ndrangheta. Domenico Anselmo, infatti, è figlio di Michele Anselmo, finito indagato per ricettazione dopo che la sua panetteria di Fizzonasco andò a fuoco in una faida tra la cosca dei Facchineri e i clan siciliano dei Procacciante. La pista si rivelerà un buco nel’acqua.
Lo spunto giusto arriva dalle immagini delle telecamere di sicurezza che immortalano due uomini fuggire a bordo di una Fiat Bravo. Gli accertamenti successivi identificano uno degli attentatori. Si tratta di Carlo Fabiano. I carabinieri analizzano i tabulati del suo cellulare. La notte del primo attentato il telefono aggancia la cella vicino all’abitazione di Leonardo Triglione detto Leo Manfra, pregiudicato della zona. Scattano le intercettazioni a carico dei due che poche settimane fa finiscono in carcere. Fabiano indicato come uno dei due esecutori materiali, Triglione come mandante.
Eppure, la vicenda non si esaurisce qua. Perché questa storia di balordi s’incrocia con la vita pubblica. E inizia a farlo già il 9 agosto a poche ore dall’incendio del negozio di Cuvello che in quel frangente si trova in Sardegna. Il suo telefono, infatti, è intercettato (ma il consigliere non verrà mai indagato). Lui chiama il fratello che si reca sul posto. “C’è una macchina attaccata”, dice. “Allora è stato Leo”, risponde il consigliere del Pd che “immediatamente è in grado di formulare delle ipotesi sul mandante”. A questo punto i carabinieri esortano il sindaco D’Avolio perché convinca Cuvello a collaborare. E Cuvello si confida con il primo cittadino. A suo avviso i due attentati sono da ricondurre a una stessa persona “che avrebbe agito a seguito di una mancata concessione di una licenza per l’apertura di un locale”. Insomma, Cuvello sa fin da subito che il mandante è Leonardo Triglione. E però manca la certezza. Per questo il fratello del politico contatta un noto pregiudicato della zona perché “mandi un’ambasciata a una terza persona, ritenuta responsabile dell’incendio”.
Cuvello fin da subito appare spaventato. Teme per un’escalation. E così telefona al vicesindaco Rizza. Anche a lui conferma l’ipotesi del mancato rilascio della licenza. Il 27 agosto Franco Cuvello è a Rozzano. “Qui – si legge nell’ordinanza che ha disposto l’arresto di Fabiano e Triglione – si attiva anche personalmente con i pregiudicati locali chiedendo che gli organizzino u incontro con Triglione”. Fa di più: “Appoggia incondizionatamente Triglione all’interno dell’amministrazione pubblica”. Contatta il sindaco per fissare un incontro con lo spacciatore. D’Avolio, però, si rifiuta. Così le pressioni si spostano sul vicesindaco. “Salvatore Rizza – scrive il gip – contatta direttamente Triglione rassicurandolo e spiegandogli che il Comune ha già concesso il nulla osta per la sua domanda. A metà settembre Rizza telefona a Triglione e ribadisce il via libera. “Più tardi Leo invia un sms al cellulare di Rizza in cui si legge: grazie per al chiamata”. Conclude il gip: “Vi è prova che dopo gli attentati incendiari la pratica si è effettivamente sbloccata con evidente soddisfazione di Triglione”. A Milano capita anche questo.
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO LA RICHIESTA DI RETIFICA DI SALVATORE RIZZA
Dalla lettera ricevuta il 9 maggio 2012: “Il signor Salvatore Rizza, all’epoca dei fatti, ricopriva la carica di vice sindaco del comune di Rozzano, con delega al settore Commercio, e per la sua funzione, era a disposizione di tutti i cittadini, sia personalmente sia tramite la sua segretaria, anche tramite il numero del portatile d’ufficio. Nel caso di specie il sindaco ritenne che fosse contatto direttamente il responsabile del settore (…). Per questo si ritiene sia suggestivo il titolo dell’articolo (“Come ti condiziono il comune di Rozzano”), se rapportato alla narrazione degli episodi che in sé, in una lettura complessiva dell’ordinanza non hanno quella valenza sottolineata e fatta intravedere dall’autore dell’articolo, ma stralciati dal contesto assumono un aspetto inquietante. (…). da aggiungere, per ulteriore precisazione, che il signor Salvatore Rizza è stato sentito come persona informata sui fatti e non ha mai assunto la veste di persona indagata
articolo aggiornato dalla redazione web il 20 maggio 2012