Alle cinque del pomeriggio viene inviata una mail. Si legge: “Avvisa che chiama questa sera alle sette”. E’ il 6 giugno 2011. L’indirizzo è reddevil6@libero.it. Chi riceve, invece, in rete si chiama frank.debonos@libero.it. Il primo viene utilizzato da Carlo Claudio Gallo, assistente capo della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Pavia dal 1994. Il secondo è riferibile ad Alessandro Magaraci nato a Busto Arsizio nel 1982, uomo di quella ‘ndrangheta che da anni comanda nella zona di Legnano. L’intercettazione telematica arriva a un mese di distanza dall’inizio di un’inchiesta che proprio oggi ha portato in carcere sia Gallo che Magaraci. Il primo accusato di concorso esterno in associazione mafiosa “perché forniva consapevolmente un apporto garantendo, quantomeno a partire dal 2010, rapporti stabili e costanti tra i membri del sodalizio detenuti Luigi Mancuso e Nicodemo Filippelli”. Il secondo, invece, indicato come “appartenente al locale di Legnano”, comandato da Vincenzo Rispoli, detto Cenzo, coinvolto nelle indagini Bad Boys (2009) e Infinito (2010).

Nell’operazione di oggi c’è questo e molto altro. Ci sono due boss in carcere, ma ancora in grado di comandare gli affiliati in libertà. C’è un uomo delle istituzioni che, addirittura, si presta a un progetto di evasione. Ma c’è anche un pizzino elettronico e un incredibile risiko di mail e tabulati telefonici che fanno da sponda a servizi di appostamento alla vecchia maniera. Il tutto dentro a un’inchiesta, coordinata dal capo della Mobile Alessandro Giuliano e dal procuratore Ilda Boccassini, che, al di là dei risultati sul campo, squaderna sul tavolo un modo rivoluzionario di condurre le indagini. Un modo che miscela vecchio e nuovo, pedinamenti sul territorio e analisi a tavolino su tabulati e traffico via web.

Torniamo, dunque, al giugno scorso. Due ore e mezzo dopo quella mail, il telefono di casa Mancuso inizia a squillare. La signora Rossella risponde. Dall’altra parte c’è il marito, Luigi Mancuso detenuto a Pavia. Il messaggio elettronico, dunque, era giusto e, secondo gli investigatori, conferma una volta di più il rapporto tra l’assistente penitenziario e gli uomini della ‘ndrangheta. Pochi mesi prima nella rete telematica, infatti, rimane impigliato un ennesimo messaggio che il gip nella sua ordinanza d’arresto definisce “eclatante”. E’ il 31 marzo e Carlo Gallo ha una comunicazione urgente di Luigi Mancuso “ma non potendo evidentemente attendere di persona, inviava all’indirizzo frank.debonos@libero.it una copia scannerizzata dell’appunto manoscritto da Mancuso con il quale quest’ultimo impartiva allo stesso Magaraci di provvedere immediatamente ad effettuare un vaglia di 6.000 euro a suo fratello Vincenzo”. Ecco allora il contenuto del pizzino digitale: “Fai subito 6000 in vaglia on line veloce oggi subito a Vincenzo mio fratello poi chiamalo dalla cabina e ci dai i codici per ritirarli velocissimo”.

Ulteriore conferma arriva l’8 luglio 2011. Due giorni prima, infatti, sia Mancuso che Filippelli vengono trasferiti da Pavia. Motivo: una notizia riferita da una fonte istituzionale, che lancia l’allarme per una probabile evasione dello stesso Mancuso e di Antonio Palamara, uomo legate alle cosche di Africo. “Il piano – scrive il gip – prevedeva il passaggio dei detenuti nei sotterranei dell’istituto sino all’area degli alloggi del personale, dove avrebbero trovato ad attenderli Cataldo Gaetano Filippelli, fratello del detenuto Nicodemo”. Il tutto grazie “alla complicità dell’Assistente della Polizia Penitenziaria Carlo Claudio Gallo” incaricato “di recapitare missive e messaggi verbali agli affiliati all’esterno del carcere”, mettendo a disposizione cellulari all’interno della prigione. Ed è proprio in base a un tale rischio che Luigi Mancuso viene trasferito. La notizia allarma Gallo che poco dopo mezzanotte scrive a Magaraci. “Cosa cazzo è successo? Ho saputo che l’hanno trasferito dove non lo so. Mi hanno aggiornato oggi. E’ successo qualcosa? Un abbraccio”. L’assistente penitenziario invita l’altro a diradare i loro rapporti: “Non venire c’è qualcosa che non mi convince”. L’uomo delle cosche però prova a rassicuralo: “Lui è a Livorno sta bene… io tutto ok… ma a me risulta che è stato un movimento normale perché lui ha rinunciato a partecipare alle udienze quindi l’hanno spostato, tutto qui”. Gallo, però, non è convinto: “Babbo Natale non esiste e nemmeno l’asino che vola. Non è come dice lui”. In effetti la guardia penitenziaria ha ragione.

In quel momento, però, la squadra Mobile di Milano ha già un quadro piuttosto chiaro. E questo grazie all’incrocio dei tabulati telefonici. Il risiko di chiamate e celle agganciate parte dal cellulare di Gallo e subito arriva a quello del fratello di Nicodemo Filippelli che si occupa di portare avanti gli affari di famiglia. Tra questi c’è anche il recupero crediti nei confronti di alcuni imprenditori. Come Claudio Serughetti al quale, il parente del boss in prigione si rivolge con questi toni: “Trova il sistema di restituirmi questi soldi perché, te lo giuro, succede un pandemonio nella mia famiglia!”.

Annota il gip: “L’analisi (dei tabulati, ndr) ha evidenziato una triangolazione di contatti tra Gallo, Filippelli e Alessandro Magaraci”. La pista elettronica individua anche il numero di una cabina telefonica distante meno di un chilometro dalla casa di Gallo. A questo numero vengono così rilevati otto contatti con il cellulare di Magaraci e quattro con Cataldo Filippelli, fratello di Nicodemo. Sarà anche grazie a questi dati che gli investigatori individueranno il Carrefour di Pavia come luogo d’incontro tra Gallo e i familiari dei detenuti.

Insomma, dopo i politici, i giudici e gli avvocati, la zona grigia che in Lombardia asseconda e favorisce gli interessi della ‘ndrangheta si arricchisce di un’altra figura istituzionale.

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