Ci sono 28 indagati in tutto, 12 calciatori e 16 dirigenti del Parma Ac, nell’inchiesta della Procura sulla squadra all’epoca in mano all’ex patron della Parmalat Calisto Tanzi. Si è chiuso uno dei filoni di indagine del crac Parmalat che riguarda il Parma, società che era guidata dal figlio di Tanzi, Stefano, che ne era il presidente.
I 28 indagati, tutti ex giocatori e ex dirigenti della società, sono accusati di concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione per fatti che risalirebbero agli anni tra il 1998 e il 2002, e cioè ai tempi d’oro della squadra di calcio ducale. A quegli anni risalgono infatti le numerose vittorie del Parma, con la Coppa Uefa e la Coppa Italia del 1999, la Supercoppa Italiana dell’anno successivo e la terza Coppa Italia del 2002. Ma nemmeno la società calcistica era estranea a quanto nel frattempo accadeva nell’impero del latte di Collecchio.
Il procuratore capo di Parma Gerardo Laguardia ha riferito che in quel periodo ai calciatori della squadra arrivavano, oltre ai normali stipendi, cospicui compensi extra “fuori busta”, non compresi nei contratti per l’ingaggio. Somme distratte che provenivano dai fondi della Parmalat, che nel 2003 andò in bancarotta.
A quanto riferito, i pagamenti “in nero” non riguardavano solo i giocatori, ma venivano utilizzati anche negli acquisti e nelle cessioni di mercato, e dunque nei rapporti con altre società calcistiche. Per questo l’inchiesta coinvolge sia le figure dirigenziali che gestivano il Parma sia i giocatori che ricevevano i compensi extra “in nero”.
Tra i 28 indagati, che riceveranno la notifica di avviso di fine indagine nei prossimi giorni, ci sarebbero anche Calisto Tanzi, condannato a otto anni per aggiotaggio, e il figlio Stefano, che ai tempi era presidente della società calcistica, e che per il crac Parmalat ha patteggiato 4 anni e 10 mesi.
Dopo il crac del 2003 il Parma Associazione Calcio venne ridenominato Parma Football Club, si svicolò dalla proprietà Parma e iniziò una nuova era sotto Tommaso Ghirardi.
di Silvia Bia