Il sistema energetico del gas è un meccanismo complesso da gestire e da governare, assai poco flessibile nell’adattarsi a mutamenti repentini del quadro di riferimento. E dunque per fare fronte alle emergenze freddo bisogna affidarsi a previsioni meteo sempre più precise, che garantiscono al sistema la possibilità di attrezzarsi per tempo, per quanto possibile. Soprattutto però è necessario puntare sulla diversificazione delle fonti energetiche. Perché le emergenze sono tali anche per la dipendenza da una sola fonte e da fornitori dotati di forte potere monopolistico.
Passata l’emergenza gas di questo 2012, è forse il momento di trarre qualche lezione, anche in considerazione delle precedenti esperienze del 2006 e 2009.
di Marzio Galeotti*, Lavoce.info

Un sistema complesso

Alla base dei timori e dei sudori provati da coloro che si trovano nei posti critici della gestione e dell’amministrazione stanno due fatti: un sistema complesso e un evento esogeno. Il sistema energetico del gas è un meccanismo complesso da gestire e da governare, in grado di svolgere egregiamente il suo compito nell’ordinaria amministrazione, ma è assai poco flessibile nell’adattarsi a mutamenti repentini del quadro di riferimento. Nella sua capacità (dai tubi ai rigassificatori, ai serbatoi di stoccaggio), nelle modalità di alimentazione (dal mix delle fonti energetiche alla loro provenienza), nelle destinazioni d’uso (dall’elettricità all’industria e al riscaldamento), il sistema è tarato per far fronte alla domanda “normale” ed evolve in dimensione e caratteristiche in base alle previsioni di (lenta) crescita e mutamento dei consumi e della loro tipologia.
Un sistema siffatto si trova in difficoltà nel far fronte ai “picchi”, alle “punte” di consumo che portano il motore a girare al massimo, al limite del fuorigiri. Fuorigiri che il motore mal tollera e che però in questo inverno 2012 si è seriamente rischiato per un fatto eccezionale e del tutto “esogeno” rispetto alle politiche e alle strategie: un’ondata di freddo come non se ne vedevano da tempo, nemmeno in occasione della precedente emergenza dovuta piuttosto alle scaramucce tra Russia e Ucraina. Dai tubi dell’Est è arrivato perciò meno gas, le navi non riuscivano ad attraccare ai terminali di rigassificazione per il mare mosso, i serbatoi di stoccaggio erano in fase di utilizzo avanzato con conseguente maggiore difficoltà di estrarre gas; uno, poi, era addirittura fermo per manutenzione.

Con le misure di “buffer” estreme – aumenti degli approvvigionamenti da Nord e da Sud, interrompibilità delle forniture alle imprese energivore sulla base di espliciti contratti, attivazione di centrali a olio combustibile – il sistema ha retto. Ma siccome non si sa quanto a lungo avrebbe potuto reggere, si sono prontamente fatti largo il dibattito e la polemica, soprattutto sui media. Più rigassificatori, più stoccaggi, più centrali a carbone e a olio, più tubi, più gas da estrarre dall’Adriatico, più biogas, e così via. Tutti suggerimenti legittimi, alcuni validi, altri meno condivisibili. Il problema è che spesso la capacità aggiuntiva, se non produce, ma ha finalità essenzialmente precauzionali, comporta costi senza corrispondenti pronti ricavi, il che rimanda al problema se debbano essere operatori privati o lo Stato stesso a farsene carico. E se operatori privati devono essere se venga o meno riconosciuto loro un adeguato incentivo economico. Problema di non facile soluzione nel contesto di mercati energetici del gas e dell’elettricità liberalizzati.

Le emergenze climatiche

Tutto ciò suggerisce allora due considerazioni, traducibili in interventi pratici, che si collocano ai lati estremi di questa vicenda. Previsioni il più possibile accurate delle condizioni meteoclimatiche a breve e a medio termine permettono di ridurre il grado di intensità con cui le emergenze si presentano e permettono al sistema di attrezzarsi, per quanto possibile, per tempo. A questo riguardo è stato scritto come i cambiamenti del clima sembrano favorire gli episodi estremi, per cui progressi delle conoscenze scientifiche in ordine alle cause e alle conseguenze, nonché alla prevedibilità di certi episodi climatici, sono urgenti e necessari.

All’estremo opposto, appare evidente che un’ulteriore spinta alla diversificazione delle fonti energetiche – dal gas verso le fonti rinnovabili – rappresenta la strada maestra per evitare del tutto queste emergenze. emergenze che, è bene ricordarlo, diventano tali a partire da condizioni meteo estreme, ma passando per la dipendenza preponderante da una sola fonte energetica e da fornitori dotati di forte potere monopolistico. Politiche di incentivazione delle fonti rinnovabili e di efficienza energetica che riducano i consumi per riscaldamento abitativo e per usi industriali sono insostituibili strumenti per contrastare i mutamenti.

* Marzio Galeotti è professore ordinario di Economia dell’ambiente e dell’energia presso la Facoltà di scienze politiche dell’Università degli studi di Milano. Dopo la laurea in Discipline economiche e sociali presso l’Università Bocconi di Milano ha conseguito il dottorato in economia (Ph.D.) presso la New York University di New York. E’ direttore di ricerca presso il Centro di ricerca sull’economia e politica dell’energia e dell’ambiente (Iefe) dell’Università Luigi Bocconi. E’ stato Expert Reviewer del terzo e del quarto rapporto sui cambiamenti climatici dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), gruppo di lavoro III sulla mitigazione e membro della delegazione italiana alla 9a sessione dell’Ipcc Working Group III (Mitigation) (30 aprile – 3 maggio 2007) e alla 26a sessione  dell’Ipcc (4 maggio 2007) a Bangkok, Tailandia. E’ stato coordinatore del programma di ricerca in modellistica e politica dei cambiamenti climatici della Fondazione Eni Enrico Mattei. Ha pubblicato estesamente in riviste scientifiche nelle aree della scienza economica, dell’economia delle ambiente e dell’energia.

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