E adesso anche la generazione degli anni Settanta diventa un monologo. Se c’è una lingua drammatica che è tornata improvvisamente contemporanea (ha ragione Andrea Scanzi) è il teatro-canzone. Se c’è una lingua spettacolare che sta rivelando giovani talenti è il teatro civile, la stessa che dopo il successo di Marco Paolini ha aperto la via a molte nuove narrazioni.

Tra tanti nuovi attori che in questi anni si sono fatti le ossa nei teatri più off della penisola, se volete scoprire un ennesimo talento, dopo Ascanio Celestini, Roma ha partorito un nuovo personaggio che non passa inosservato: si tratta dell’attore-musicista Massimiliano Graziuso, uno che contamina il teatro canzone in teatro civile (o viceversa), e che in questo fine settimana e nel prossimo debutta al Piccolo Re di Roma (un altro teatro aperto alle nuove sperimentazioni, oggi, domani, 2-3-4 marzo) con Grandissimo tesoro mio.

Se Paolini è il cantore epico per eccellenza e Celestini è il narratore principe della diversità, Graziuso (quarantenne come Ascanio) è un attore che racconta il mondo a partire dal lessico familiare. Graziuso nasce come clarinettista (ma suona altri tre strumenti!), ed è un artista eclettico, e atipico che nella vita, di mestiere, lavora nella banda dell’aeronautica. Faccia che non si dimentica da fool shakespeariano, occhi grandi e sorriso spiritato, è uno che si è fatto una lunga gavetta, che si scrive tutti i testi da solo, e che va in scena accompagnato da due giovani musicisti, Andrea Biondi e Paolo Buonuomo. Due che come lui hanno conquistato il grado di maresciallo per “meriti artistici”, visto che chi vince il concorso viene arruolato d’ufficio nell’arma.

Grandissimo tesoro mio, dunque, è un monologo con le ali che ti conquista subito per la pluralità delle lingue contaminate: tanti frammenti di registrazioni audio (il bellissimo pianto di Sandro Pertini per “due bambine stanno morendo, è una cosa straziante!” della strage di Bologna, un comizio di Pierre Carniti e uno di Enrico Berlinguer), sigle amarcord (“il cuore di panna ” memorabile degli anni Settanta) telegiornali simbolo (“E in onda c’era sempre Angela Buttiglione”) e poi la musica: temi popolari reinventati in chiave colta (l’indimenticabile Tempo delle mele) e le tre cantate “alla Piovani ” (definizione mia per farvi capire) che contrappuntano la vita del protagonista, Vincenzo Amitrano.

Il sottotitolo “coincidenze del Novecento italiano” segnala il contrappunto dolente fra la storia nazionale e il romanzo di formazione di Vincenzo che viene da una famiglia di sinistra (“mio papà con i grandi ideali sulla testa) “, e vede i suoi lutti (“Mia madre sta morendo”, riesce a dire stravolto alla bambina che ama) sovrapporsi al dolore delle stragi. Si piange, si ride e quando tutto tace per far cantare i temi di Biondi, si sogna. Ha ragione Graziuso: il Subbuteo, gli anni di piombo, l’almanacco del giorno dopo, le Adidas Nastase, la pubblicità del Martini e la sinistra che scaldava i cuori, sono già storia.

Il Fatto Quotidiano, 25 febbraio 2012

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